Trattato di funambolismo nerazzurro (o anche di come tifare Inter nei momenti difficili)

Essere interisti è la cosa più difficile che c’è. Me lo disse una volta mio zio, ero bambino e al mio paese in Piemonte tutti tifavano Juventus. Mio padre per reazione aveva deciso di tifare Inter (gliene sarò per sempre grato). Mio zio Francesco, dicevo, una sera di fine maggio dei miei 10 anni sotto il tendone che il comune aveva allestito al campo sportivo per vedere la finale di coppa dei campioni Juventus – Liverpool allo stadio Heysel, mi prese da parte e mi chiese: «Sei sicuro? Non sei obbligato a tifare Juventus, va bene anche il Milan, o il Toro, ma guarda che l’Inter è la squadra più difficile da tifare».

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Tenni duro e mi misi comodo ad aspettare. Dopo tre anni arrivò lo scudetto dei record di Trapattoni, poi le Coppe Uefa, poi dal ’98 in avanti sappiamo tutto.
Eppure ha ragione mio zio: essere interista è la cosa più difficile che c’è. La sua logica non faceva e non fa una grinza: «Se tifi la Juventus vinci sempre e hai contro per lo più solo quelli dell’Inter o quasi, – mi spiegò – se tifi il Milan potresti vincere, non tanto quanto la Juve, ma almeno avresti contro solo quelli dell’Inter. Se tifi Inter vincerai poco e avrai contro sia quelli del Milan sia quelli della Juve». Poi si buttò sulle piccole: «Se invece tifi qualcosa tipo il Toro o l’Atalanta, quando va male retrocedi, ma non succede nulla di grave, quando va bene ti salvi e festeggi come se avessi vinto lo scudetto, quelle poche volte che invece va benissimo arrivi settimo o ottavo e festeggi come se avessi vinto la coppa campioni».
E’ nelle settimane che seguono le domeniche come quella appena passata che mi tornano in mente le parole di mio Zio Francesco.
Anzi dopo queste domeniche mi convinco che l’Inter non sia la squadra più difficile da tifare, ma che in assoluto essere dell’Inter sia la cosa più difficile che c’è.
«Dai vuoi che tifare Inter sia più difficile di camminare su un cavo come un funambolo a centinaia di metri d’altezza?», mi ha chiesto un tizio una volta.
La risposta è sì e vi spiegherò il perché.
Usiamo l’alpinismo come prova di livello altissimo di difficoltà.
Un alpinista che tenta di salire in inverno il Nanga Parbat (ci sono riusciti in due e uno di loro è italiano), prima ancora di cominciare ha davanti a sé due possibilità, farlo oppure no. Una volta che ha deciso di farlo, studia il percorso, si allena, trova una squadra che lo supporti e degli sponsor, passa giorni ossessionato solo da quell’obiettivo, poi parte e se va bene ce la fa altrimenti no. Nel primo caso è un eroe, nel secondo caso invece ha nuovamente di fronte a sé due possibilità: riprovare oppure no.

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Essere interista no, essere interista non ti dà altra scelta, mai. Non è che se sei interista ad un certo punto puoi cambiare squadra, non puoi diventare della Fiorentina, per dire o della Roma. Certo se vieni da una piccola città che sale in serie A dopo anni, puoi approfittarne per andare allo stadietto la domenica coi tuoi amici del liceo, puoi cantare cori che non cantavi da quando eri ragazzino, ma sarà sempre un palliativo. Se poi come me sei di Novara e segui la squadretta proprio nella la stagione in cui torna nella massima serie e batte due volte su due l’Inter, della tua squadretta di città non te ne può fottere una minchia.
Secondo motivo per cui essere interista è più difficile dell’ascesa invernale al Nanga Parbat è che se il tentativo non funziona, per lo più gli amici ti saranno di supporto e se sei sgamato potrai andare in giro a fare conferenze sul Valore della sconfitta, raccontando di quando hai deciso che era meglio tornare indietro, rivelando a tutti l’enorme saggezza di chi preferisce la vita al rischio.
Quindi tutto sommato ti è andata bene, considerato che non hai decine di amici che ti mandano messaggi su whatsupp o ti scrivono sulla bacheca di Fb cose tipo: «Beh dai sarà per il prossimo anno, tanto in estate il Nanga Parbat lo fai sempre alla grande, poi peccato che arrivi l’inverno. Ah ah ah ah ah», (perché di solito gli amici che tifano altre squadre fanno quella cosa inammissibile che è scrivere il suono delle risate: ah ah ah ah ah) oppure messaggi come: «Si mangia il panettone sul Nanga?»
In più fare l’alpinista a certi livelli è un lavoro a tempo pieno. Essere dell’Inter no.
Intendiamoci, se mi proponessero uno stipendio per seguire i ragazzi in allenamento e partita, e per scrivere e parlare di Inter sempre (la vita di Roberto Scarpini in poche parole), direi di sì senza pensarci due volte, ma di Scarpini ce n’è uno solo, grazie al cielo e ognuno di noi oltre a tifare Inter, ha un lavoro, una famiglia, o al più una fidanzata o fidanzato a cui rispondere. Se è single è ancora peggio: nessuno a cui chiedere conforto dopo un Chievo – Inter di metà agosto, o con cui dire: «Dai almeno vediamoci una puntata di Stranger Things così penso ad altro»

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Essere interista è un lavoro part time che costa una fatica enorme, perché una domenica sì e una no tocca inventarsi battute in risposta alle cagate che ti vengono riversate addosso, cercando di essere sempre sagaci, perché mica siamo come i gobbi che rispondono con gli insulti, no, noi voliamo sempre alto, magari ci mettiamo mezz’ora a elaborare una buona risposta ad un sms che non sia l’unica risposta che in realtà andrebbe data sempre: «Avete rubato per anni e vi meritavate la radiazione non la retrocessione».
Sì essere interisti è la cosa più difficile che c’è, perché tifare una squadra così assurda e strampalata, che prima ti fa essere il più forte del mondo, contro tutto e tutti e dopo pochi anni una sera di mezza estate ti fa guardare un tizio sloveno in maglia gialla, con il nome da shampoo che ti fa due gol da fenomeno è una cosa che non è per forza nel novero di quello che ti aspetti dalla vita.
Essere interisti non è figo, come ha provato a farci credere gente tipo Severgnini, perdere non è divertente, vincere lo è molto di più.
L’unica buona notizia è che quando torneremo a vincere saremo molto allenati e prontissimi per tirare fuori i numeri di telefono e i profili Fb degli amici, e tutto senza nemmeno scrivere il suono della risata ah ah ah ah ah.

One thought on “Trattato di funambolismo nerazzurro (o anche di come tifare Inter nei momenti difficili)

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  1. Anch’io ho sempre pensato che essere interisti sia una fatica improba. Io, come la totalità dei tifosi nerazzurri, odio visceralmente mono e bi retrocessi e storicamente, quando non vinciamo lo scudetto noi, cosa che ahimè si verifica molto di rado, lo vince una delle due procurandoci un travaso di bile ulteriore che va ad aggiungersi a quello provocato dalle nostre sconfitte. Gli altri tifosi hanno solitamente una acerrima nemica da tenere sotto controllo e spesso non di primo piano, noi 2 e le più vincenti. Teoricamente anche ladri e biretrocessi dovrebbero avere 2 acerrimi nemici esattamente come noi ma fondamentalmente fra di loro c’è una sotterranea stima, unità d’intenti (compagni di merende) e un nemico comune da sconfiggere e sbeffeggiare
    Come dimenticare gli scudetti dell’89 e del 2006 : non si era ancora spento l’eco dei nostri festeggiamenti che quelli là avevano già vinto la coppa dei campioni riuscendo a sfotterci anche in quelle occasioni

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