di Federico Corona
Trezzano sul Naviglio, un giovedì qualunque di tutti i plumbei giovedì di gennaio. In programma, un’amichevole con l’Inter Primavera che forse, a pensarci bene, non rendeva quello un giovedì come tutti gli altri. Noi, discreta squadra di Eccellenza Lombarda, loro, giovanissimi architetti con grandi progetti, che cercano di costruire le fondamenta di una carriera nel grande palcoscenico del calcio che conta. La classica sgambata infrasettimanale per non arrugginire le gambe durante la sosta invernale, ma anche l’occasione, per me, di studiare da vicinissimo, di scontrarmi, di accarezzare, di duellare con quelli che un domani potrebbero essere portabandiera dei miei colori, che potrebbero regalarmi gioie ed emozioni. Suggestiva visione futurista.
Allineati come bravi professionisti aspettiamo il segnale dell’arbitro per entrare in campo. Di fianco a noi, silenziosi e composti in una fila perfetta, i piccoli scolaretti nerazzurri (piccoli, si fa per dire). Li guardo, cercando di coglierne pensieri e caratteristiche, e il mio occhio curioso si sofferma su questo ragazzone mulatto con gambe chilometriche e fisico da giocatore consumato.
Puerile ma adulto. “Che bel cavallo” dico a un mio compagno con espressione meravigliata da Paolo Brosio dopo un’apparizione mariana. Scendiamo in campo, e come suggeriva il numero 5 sulle spalle, quell’affabile fanciullone si posiziona dietro, da difensore centrale. Realizzo che marcherà me, unica punta degli avversari. Al calcio d’inizio guardo bene il pallone, col timore che nei successivi 90 minuti non mi ricapiterà quest’occasione. Si gioca, e per la verità, regna l’equilibrio. La cronaca della gara interessa poco, quel che interessa è vedere come se la cava quello che solo a lanciargli un’occhiata riesci a intravedere un predestinato. E ad impressionarmi, udite udite, non sono le vette che riesce a raggiungere di testa dall’alto di quei 192 cm, né tantomeno lo strapotere fisico con cui fa sentire gli altri degli umili brunetta, ciò che mi lascia a bocca aperta è un sinistro con cui sventaglia a destra e sinistra con una naturalezza che dovrebbe fare poco il paio con quei piedoni e quelle zampone; è l’accelerazione con cui brucia l’erba tutte le volte che si invola. “Questa è roba grossa, ragazzi”, dirò a compagni e amici nerazzurri finita la partita. Sedotto dal ragazzo, approfondisco. Si chiama Senna Miangue, ha 19 anni ed è già un colosso della nazionale Under 19 belga. E dell’Inter Primavera, ovviamente. La sua vita social racconta di un ragazzo che coltiva un sogno con umiltà, modaiolo ma schivo, attratto dal bello ma anche dalla vita semplice. Abbandono il suo mondo con una promessa: “ci rivedremo presto caro Senna, ne sono sicuro”. Non potevo immaginare che mi sentisse, e invece…
E invece, appena 8 mesi dopo, rieccolo.
Questa volta io sono seduto sofferente sul divano, avvolto nel fumo di una, due, tre sigarette, e lui mette piede per la prima volta a San Siro in una gara ufficiale, Inter-Palermo. Momento autocelebrativo: “Lo sapevo, lo sapevo!” ripeto tra me e me. Prende il posto di Santon basso a sinistra, e storco il naso. È vero, corre veloce come Ayrton, e questo lo previde già il padre congolese quando lo chiamò come il pilota brasiliano, ma non è un po’ troppo lungo per quel ruolo? Non rischia di fare la fine di Smalling nello United? Basta guardarsi intorno, nei grandi club europei, per accorgersi di come sia difficile trovare terzini di quelle dimensioni. Jordi Alba, Bernat, Azpilicueta, Carvajal, Maxwell, Valencia, Dani Alves, Bellerin (e qui bisognerebbe aprire un lungo capitolo su questo prodigio di cui si parla ancora poco, ma ora non è il caso). Baricentro basso, rapidi e reattivi. Forza nelle gambe, sul breve e sul lungo. È il calcio moderno che lo impone. Per chiudere diagonali repentine e dialogare nello stretto per uscire dal pressing, per proporsi in avanti con qualità, per non soccombere negli uno contro uno con l’esterno alto avversario.
Eppure, il mio amico Miangue, alla sua prima non stona.
Poi un buono scampolo di gara con la Juve, permettendosi il lusso di aggirare Dybala e assaporare per la prima volta il gusto fragoroso degli applausi del Meazza, e domenica Frankie lo getta nella mischia dall’inizio. Mica male per uno che fino a 10 anni, quando il patrigno Bright lo costrinse a provare il calcio intravedendone le qualità, non aveva mai preso a calci un pallone.
Ancora a sinistra, col Bologna Miangue ha giocato una partita interessante. Parte con qualche controllo difettoso e sbagliando il passaggio a Perisic sul classico corto-lungo del nostro cyborg croato. Cosa vuoi, quello stadio fa tremare le gambe a tutti. Poi si scioglie ed è tempo di reminiscenze. Rivedo quel sinistro secco, quel galoppo selvaggio e quella confidenza che mi avevano folgorato mesi prima. Ma in una partita ufficiale di serie A, mica in una partitella nel grigiore dell’hinterland.
È promettente Senna, ma anche fortunato. Per due ragioni: il suo momento è coinciso con la grande carestia di terzini che ci logora dall’addio di Maicon. Dunque il perfetto timing. E la presenza di un progressista come De Boer in panchina, ispirato nel formare e lanciare giovani anche in un calcio metodico e conservatore come il nostro. Un incarico, quello che il mister ha affidato a Miangue, di mourinhana memoria, quando il genio portoghese in vena di miracoli illuse il popolo nerazzurro mostrandogli un giovanissimo e promettente Santon che, malauguratamente, frenò la sua evoluzione anzitempo. Ora, augurandoci che lo stesso destino non tocchi a lui, Miangue si sta adattando, e bene, nel ruolo di terzino – d’altronde le capacità di apprendimento di un 19enne che parla già cinque lingue sono evidenti-, speriamo di avere trovato in casa nostra quello che da qualche anno cerchiamo altrove. Corri Senna, corri, Ansaldi e mercato invernale permettendo.
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