La strada di Antonio

Smaltita la delusione del post eliminazione – onestamente ne ho vissute di più brucianti tipo la rimonta in casa contro il Bayern Monaco del 1988 – mi preme soffermarmi una volta di più su un concetto. Un assunto che ho provato a sottolineare già la scorsa estate e che stamattina mi sembra più chiaro del solito: Antonio Conte non è stato chiamato per vincere tutto. E nemmeno per vincere la Champions al primo anno.

La divisione tra allenatori da campionato e allenatori da Champions è abbastanza stucchevole, specie quando diventa definitiva e incontrovertibile. Meno di 6 mesi fa, prima della semifinale di ritorno tra Liverpool e Barcellona, Fabio Caressa si lasciò andare ad una sorta di contro-profezia: “Bravo Klopp eh, però non in Europa non vince mai“. E giù risate (Bergomi fu l’unico a rispondere che non era d’accordo). Sappiamo tutti come è finita. E per andare un po’ più indietro nel tempo, Fabio Capello era stato dipinto, prima di Milan – Barcellona di Atene (finiscono sempre 4 a 0 le partite che cambiano i destini segnati, chissà perché), un grandissimo allenatore da campionato. E un perdente in Europa. Per non parlare di Carlo Ancelotti che, dopo meno di tre stagioni da allenatore, era già un eterno secondo.

Capirete che sono abbastanza allergico a definizioni certe e definitive. Di certo c’è solo che Antonio Conte è uno straordinario motivatore e un allenatore ancora incompleto. Non fosse altro per una questione di età e di esperienza, mica sono tutti Guardiola. Io lo sapevo, noi lo sapevamo, e non c’è nulla di male in questo. Continuo a pensare che sia l’allenatore giusto al posto (e al momento giusto), ma che sia doveroso ricordare che questo discorso vale anche invertendo l’ordine degli addendi. Non è che Conte ci abbia fatto un favore, non è sceso in una dimensione non sua, perché la sua Juventus era una squadra da ricostruire al pari di questa, come la Nazionale del post Sudafrica, e come il Chelsea della seconda era Abramovich. E questo perché non voglio scomodare il Bari che aveva appena perso in casa contro il Lecce 0 a 4 (guarda caso) e lottava per salvarsi.

Conte non è e non è stato chiamato a vincere la Champions. È chiamato a riequilibrare i valori in Italia, a farci stare incollati alla sedia fino all’ultima giornata di campionato, a prescindere da come andrà a finire. È chiamato ad ottenere il meglio da una squadra che non si può ricostruire dal giorno alla notte e nemmeno nel giro di una sessione di mercato. Perché a rigor di logica 6-7 giocatori erano da ringraziare e mandare altrove. È chiamato a far rendere oltre il 100% giocatori dati per finiti come Candreva, a insidiare una delle squadre più forti d’Europa – la Juventus – con riserve che farebbero fatica a trovare posto nella Fiorentina attuale. Leggi alla voce Borja, Vecino, Biraghi, Lazaro. È chiamato, e questo è forse il compito più difficile, a fare o avallare scelte impopolari e, alla luce del risultato di ieri un po’ avventate, come il taglio di Icardi, Perisic e Nainggolan. Ma non è dopo questa questa sconfitta che va valutato il senso profondo di certe decisioni. Riparliamone verso aprile – maggio.

Non sarà semplice né scontato vincere qualcosa in Italia ma Conte, questo sì, è chiamato a farlo – ed è pagato per farlo – nel giro di una, due stagioni. Poi verrà il bello. Perché sarà lì che Antonio potrà fare il salto definitivo insieme alla società e alla squadra (che nel frattempo sarà cambiata), sopratutto se farà tesoro della prossima Europa League e inizierà a mettere in discussione alcuni suoi “credo” troppo radicati, oppure sceglierà di fare quello che ha fatto finora e ricomincerà da un’altra missione impossibile, da una piazza da rilanciare, da giocatori da rinvigorire e far correre oltre i propri limiti. Questo dipenderà anche e molto da lui, in ogni caso il progetto della società non cambierà. Per una volta, vi prego, non derubrichiamo tutto alla vittoria e alla sconfitta, ma consideriamo la visione di un progetto che deve portare l’Inter, nel giro di 3/4 anni a competere contro le grandi d’Europa. Anche contro il Barcellona, quello vero. Con Conte e senza. Come fu con Mancini prima e Mourinho poi, dieci anni e passa fa. O magari con lo stesso allenatore, chissà.

One thought on “La strada di Antonio

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  1. mah, capello prima di milan-barcellona era alla II finale di coppa campioni su 2 partecipazioni, nessuno all’epoca lo dava come perdente in europa

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