Il mite Hernanes, la Formidabile Forza e quella gloria ormai smarrita

Hernanes è simpatico, non puoi non volergli bene. Rilascia interviste bellissime, dice cose folli col sorriso. In uno dei momenti peggiori della sua militanza nerazzurra dichiarò alla Gazzetta di non essersi mai sentito meglio, di sentire nelle gambe una forza incredibile, formidabile.  Come puoi non amare uno che parla come se fosse appena stato arruolato negli X-Men grazie a una potenza sovraumana e poi caracolla per il campo a due all’ora, senza mai scattare, senza mai sfruttare quella forza formidabile?

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Eppure Hernanes è stato un giocatore eccezionale. Non un trequartista, non un interno di manovra, non un esterno. Un casino tattico colossale, un equivoco moltiplicato dal contrasto stridente tra la sonnolenta velocità di navigazione e la precisione del potentissimo tiro, tra un dinamismo inadeguato alla serie A e qualche estemporanea e terribile progressione. Nazionale brasiliano, quando la Lazio lo preleva dal San Paolo Anderson Hernanes de Carvalho Viana Lima è molto più di una promessa, è un centrocampista offensivo da 15 gol in 99 partite, pasodoblista furibondo, ai limiti della ragionevolezza, si presenta conciato come Tony Manero e porta senza imbarazzo il soprannome che alcuni sospettano si sia affibbiato da solo (la vulgata dice che sia stato invece Leifert Tiago, presentatore brasiliano, affascinato dal fatto che Hernanes durante le interviste, citasse sempre qualche passo della Bibbia).

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Piccolo inciso. Nel 2009 il Times vota Hernanes ‘miglior calciatore Under 23 del mondo’. Ecco perché non si può parlare di scommessa. Il suo arrivo alla Lazio è prodigioso. Segna spesso, gioca sulle punte e inventa calcio, entusiasma i suoi tifosi e fa sospirare gli altri. Tutti si aspettano una progressiva normalizzazione delle prestazioni, un caso à la Zarate, ma il Profeta non molla e si conquista la fiducia di società, tifosi e ambiente. Affidabile è la parola giusta e la vita che si è scelto lo aiuta. Marito esemplare, padre affettuoso e presente, pessimo chitarrista ma costante nell’errore, la cosa più estrema che fa quando lo intervistano è palleggiare con un limone, cosa che ai più vecchi e romantici di noi riporta alla mente un altro brasiliano, il vecchio e spennacchiato Eloi.

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Ma le prestazioni sono molto diverse da quelle del compatriota, palleggi con agrumi a parte. Gli anni laziali sono belli, alla fine qualche piccola ruggine, quattro stagioni (l’ultima a metà), 156 partite e 41 gol. Quando l’Inter riesce a comprarlo, a gennaio del 2014, lo paga quasi 20 milioni (15+3+2), e non sono pochi in un momento di terribile confusione societaria e di grave crisi finanziaria. Hernanes arriva perché Mazzarri lo chiede con grande insistenza, dopo averlo inseguito ai tempi del Napoli. Nella sua testa è il giocatore del salto di qualità, quello che può creare superiorità numerica con il dribbling o forzando i ritmi della partita con le sue trovate. Non andrà così.

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L’Hernanes nerazzurro ha una caratteristica unica: si mimetizza e si nasconde in campo. Sparisce dalle partite. Ha qualche fiammata, in un anno e mezzo segna qualche gol pesante (alla Roma), mette in fila una sequenza infinita di finte, mostra una propensione criminale al paso doble in zone deserte del campo (senza avversari), e a passare palloni folli a compagni in difficoltà. L’Hernanes nerazzurro non è Hernanes. Cosa è successo al miglior brasiliano d’Europa dopo Maicon (votato dai giornalisti brasiliani)?

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Difficile capirlo. Problemi di forma, di ambientamento, confusione tattica, solitudine. Qualcosa dev’essere successo perché a dirla tutta l’intuizione di Mazzarri era perfetta: un 3-5-2 rigido con un solo fantasista, libero di deambulare per il campo e preparare il terreno per nuove capriole, un giocatore maturo e capace di esprimere leadership e trascinare compagni e pubblico. Non è successo, anzi. Alla lunga le pause di Hernanes hanno snervato sia San Siro che i suoi allenatori, Mazzarri e Mancini (che ha provato a utilizzarlo sia basso sulla difesa a fare gioco come mediano che come fantasista/quasi-seconda-punta con gli stessi sconfortanti risultati).

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Quando a settembre del 2015 la Juventus si ritrova a corto di centrocampisti e bussa alla porta di Ausilio per aver informazioni su Hernanes lo trova già impacchettato sull’uscio della sede. Marotta si bullerà di averlo preso quasi solo per causare una minusvalenza all’Inter, che lo compra a 18 e lo vende a 11:

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Se quello era lo scopo, la missione è compiuta e poco contano le dichiarazioni nel solito stile da picchiatore da pub. Ma presentare il Profeta come una seconda fila è come tarpare le ali a un’aquila reale, perché Hernanes vive di colori e iperboli e il grigio lo deprime. La sua avventura juventina è una lenta ma inesorabile discesa nel baratro della mediocrità, partita dopo partita Hernanes diventa sempre più marginale, di lui si ricorda qualche prestazione decente in Champions League, una traversa contro l’Inter e un gol a campionato finito. Due giorni fa la Juventus ha deciso di escluderlo dalle liste di Champions, una grande umiliazione per quello che fino a pochi anni fa era uno dei migliori centrocampisti del mondo.

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A Hernanes non puoi non volere bene. È l’unico brasiliano stonato, suona la chitarra male e sorride spesso e volentieri. Ci siamo chiesti più volte se è colpa nostra, se il passaggio all’Inter ha avuto sulla Joia di vivere di Hernanes un effetto nefasto, ma per una volta la risposta è no. Non c’entriamo nulla, non abbiamo applicato al Profeta il metodo Bergkamp, non l’abbiamo trattato come Pirlo e Seedorf. È successo qualcosa che solo Hernanes sa e che ci ha privato di un numero di capriole esponenzialmente superiore. È un peccato, il Profeta è passato in silenzio e con quel sorriso gentile che tanto bene si mimetizzava in campo, forse per evitare di farsi riconoscere e associare a Kuzmanovic e Nagatomo, chi lo sa. Un abbraccio Profeta, è un brutto momento e quello è il posto peggiore per viverlo. Se vuoi tornare qui ti si aspetta a braccia aperte, tanto nessuno s’è accorto che te ne sei andato

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