L’Inter, dio, la religione e altri ammennicoli

Sono diventato ateo dopo anni di lavoro.
Non è stato facile sfilarsi dalle maglie della religione cattolica soprattutto se vieni da un paesino del nord ovest dell’Italia più democristiana di sempre e frequenti i tre anni di scuole medie nel seminario della città più vicina.
In seminario il passatempo preferito di preti, diaconi e studenti di teologia era proprio giocare a calcio nel campo dietro al refettorio eppure non ho mai visto nessuno dopo un gol, una parata clamorosa (don Clemente si diceva fosse stato portiere del Borgomanero in Eccellenza) o una vittoria ringraziare un santo, la madonna o anche un solo componente della santissima trinità. Niente mai, si urlava come matti, qualcuno imprecava a bassa voce eppure mai nessuno ha pensato di dedicare o appellarsi a dio per una mano durante una partitella pomeridiana al seminario san Gaudenzio di Novara.
Sarà per questo che ogni volta che un calciatore ringrazia il suo dio dopo un gol inginocchiandosi o indicando il cielo, o battendosi forte il petto come a dire, “non è merito mio, non è merito mio” io mi domando: Perché?.Perché sottovalutarsi tanto? Perché pensare che tu, giovane uomo di nemmeno 30 anni il cui mestiere quotidiano è allenarsi su un campo da calcio, non sia in grado di fare un gol da solo senza l’aiuto di qualcuno che dall’alto dice “Aspetta un secondo, lascio da parte sta catastrofe quotidiana nel Mediterraneo per fare segnare ‘sto disgraziato che la sua squadra son tre partite che non fa un punto manco a pagarlo”.

Sono moltissimi i calciatori, soprattutto sudamericani, che mostrano maglie in cui sostengono di appartenere a Gesù o a chi per lui e in genere ho sempre abbozzato, ma di recente mi è salito un rigurgito più forte del solito quando sono finito sul profilo Instagram di Cristian Ansaldi.
Lo aspettavamo tutti da settimane, estenuati dalle sgroppate a vuoto dell’ex predestinato Davidino Santon.
Dal momento che non ricordavo il motivo della sua assenza, ho fatto una veloce ricerca e la prima cosa che ho trovato è stata questa.

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Ho pensato che Cristian ardesse dalla voglia di tornare in campo e si attaccasse a tutto anche alla scaramanzia ultraterrena, invece la seconda immagine che mi si è parata di fronte è stata questa.Schermata 2016-10-05 alle 15.55.54.png

La mente mi è subito tornata a quel talento forse inespresso di Amarildo Souza do Amaral detto Amarildo, brasiliano che in Italia ha giocato per la Lazio, il Cesena e il Torino che apparteneva agli Atleti di Cristo (immagino sia una formazione che gioca nel campionato CSI) e che ad ogni partita regalava una bibbia al suo avversario diretto in campo. Poi mi è venuto in mente Nicola Legrottaglie, difensore della Juventus che tanto abbiamo amato in quegli anni, che non vedeva l’ora di mostrare la maglietta con la scritta “Gesù è la verità”.

Cristian Ansaldi è finalmente rientrato, lo aspettavamo e personalmente penso che sia meglio di quello che avevamo prima e che abbia bisogno di tempo per rimettersi in pista come si deve, però ho smesso di seguirlo si Instagram, perché avrei rischiato di commentare malamente sotto una delle sue foto in cui tira in ballo il signore ogni due per tre.

In quello splendido libro che è “Open” che racconta la vita di Andrè Agassi, ad un certo punto si parla di un match contro Chang. Dice che ad ogni punto Chang alza gli occhi al cielo e borbotta un ringraziamento a dio per averlo aiutato. Agassi va su tutte le furie perché sostiene “Questo comportamento sottintende il fatto che esista un dio e che in questa partita tra me e Chang si schieri chiaramente dalla parte di Chang e contro di me”.Voglio immaginare che le partite che guardo in tv e allo stadio siano solo il frutto dello sforzo e delle capacità sportive di chi scende in campo, perché di gente che agisce fuori dal campo dall’alto, avendo potere sugli arbitri e usando tessere telefoniche di altri paesi ne abbiamo già avute e non è stato un bel periodo, non vorrei mai e poi mai che partisse un caso Gesùsopoli.

One thought on “L’Inter, dio, la religione e altri ammennicoli

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  1. Ciao Matteo, ho letto con interesse ed attenzione il tuo editoriale. Mi permetto di scriverti senza aver nessuna pretesa di assolutizzare, nè di essere garante dell’Ansaldi (ma anche Amarildo, Legrottaglie) di turno, nè, infine, con l’intento di convincere nessuno.

    Però immagino che, come capita anche a me, le dita alzate verso il cielo, che mi pare di intendere abbiano generato il tuo stupore prima e pizzico di fastidio dopo, siano solo un modo di ringraziare Dio non per un gol o una prestazione vincente, ma solo perché per molti è naturale ringraziarLo per tutto.

    Un grazie che scandisce l’intera giornata, per gli aspetti più gradevoli di essa, ma che non viene meno nemmeno per quelli meno piacevoli. Per il semplice esserci e per la gioia di sentirsi amati.

    Certo, capisco perfettamente che per un ateo la cosa risulti assurda o non condivisibile e rispetto l’opinione altrui.
    Sarebbe bello che al contempo questo rispetto fosse ricambiato.

    Non intendo tediarti oltre, ma non posso fare a meno di fare un’ultima considerazione sul tuo nome: Matteo.
    Mia moglie ed io l’abbiamo scelto per nostro figlio per il suo significato: “Dono di Dio”…

    Ti saluto cordialmente ed attendo di leggere il tuo prossimo editoriale.

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