di Alessandro Cattelan
Era il 1995, quasi la fine del mese di Gennaio e a un certo punto di Manchester – Crystal Palace Eric Cantona (appena espulso per un fallo di reazione), decise di sfogare parte della rabbia accumulata fin lì tatuando i tredici tacchetti della sua scarpa destra sul costato di un tifoso che lo insultava da bordo campo. Un calcio volante sgraziato ma efficace.
L’aneddoto è legato a uno dei calciatori che più di ogni altro avrei voluto veder giocare per la mia squadra e mi porta a parlare di uno dei giocatori che più ho amato, uno che della mia squadra ha indossato e onorato i colori.
Perché nel capannello di persone almeno apparentemente impegnate a strappare il tifoso del Crystal Palace dalle mani del Re, tra calciatori, steward ancora troppo bolsi, il vichingo Schmeichel che si improvvisava paciere e varie figure arbitrali, c’era anche lui. Un tipo tosto con la maglia nera e il numero 8 che senza dare troppo nell’occhio si buttò nella mischia da lontano deciso a far volare un altro paio di schiaffoni. Quello era Paul Emerson Carlyle Ince, meglio conosciuto come Il Governatore.
Un mese esatto dopo Massimo Moratti divenne presidente dell’inter. Avrebbe voluto presentarsi ai suoi tifosi con un grande colpo: prendere Cantona nella prima sessione di mercato disponibile, ma spostarlo da Manchester si rivelò un’impresa impossibile. Il presidente, da sempre e per sempre cazzomenefreghista quando si trattava di scucire il grano, a quel punto forse pensò: ah si? Allora mi prendo Ince. Ecco a voi un sacco pieno di soldi per il disturbo… Ora se volete scusarmi, che poi mi si scalda il Fernet.
Era il 1995, avevo 15 anni ed ero stato allo stadio solo una volta in tutta la mia vita, per di più al terzo anello settore ospiti. Il calcio era un sogno e i suoi interpreti erano supereroi da ammirare con timidezza e soggezione. Era il primo anno dei nomi sulle maglie e del numero fisso e se avessi avuto solo un pizzico di lungimiranza e indipendenza economica in più sono sicuro che la casacca di Paul sarebbe ora il pezzo più pregiato della mia collezione (sempre di quell’anno ho però la 10 di Benny Carbone che considero comunque, per ragioni diverse, un cimelio dal valore inestimabile).
La nuova era Moratti portava con se una ventata di entusiasmo tale che costrinsi mio padre a portarmi alla presentazione della squadra per poter salutare i vecchi veterani e i nuovi acquisti, tra cui Zanetti, Roberto Carlos e appunto Ince a cui riuscii a strappare un autografo. Non esattamente un mercato di merda mi verrebbe da dire.
Il campionato stava iniziando e tutte le mie speranze erano nei piedi di Paul The Guv’nor, per il quale provai da subito un amore viscerale. Non so se fu a causa dell’episodio raccontato all’inizio di questo pezzo o per il solo fatto di essere inglese e quindi necessariamente portatore sano di gioco ruvido e tacchetti che fanno scintille, ma il ricordo di Paul nell’immaginario collettivo è quello di un picchiatore. Onesto, ma pur sempre picchiatore. Un centrocampista tutto grinta e poco cervello, il mediano nella sua accezione più noiosa. Certo che era in grado di annichilire fisicamente un giocatore dominante come Desailly e lo ha dimostrato nei 3 o 4 derby avuti a disposizione, ma Paul era molto di più. Era un giocatore dinamico, esplosivo, fisicamente incontenibile ma capace di segnare 10 gol in 50 partite con la nostra maglia tra rovesciate alla Pinilla, bombe da fuori alla Nedved, inserimenti alla Lampard, esultanze strambe alla Oba Oba Martins e chissà quante altre magie ci avrebbe regalato le la moglie non ce lo avesse portato via. Più o meno tutte quelle che abbiamo aspettato invano di vedere da Guarin negli ultimi anni e che son finite immancabilmente con un mavaffanculova! (il suo fallimento lo vivo come fosse il mio, lo ammetto. Un grandissimo rimpianto ).
Paul Ince è stato senza dubbio il mio giocatore del cuore e voglio lasciarvi con una storia che mi ha raccontato nientepopodimeno che da Felice Centofanti, altro idolo che Iddio vi fulmini se vi azzardate a discutere.
Ve la riporto esattamente come l’ho sentita.
Partita di precampionato 1995, Inter Arsenal. Che io ricordi abbiamo perso ma non ci metterei la mano sul fuoco. Ad ogni modo, veniamo ai fatti.
La squadra si sta preparando e Paul Ince appena acquistato dalla società, incontra i suoi nuovi compagni direttamente negli spogliatoi. Ottavio Bianchi svela la formazione di partenza. Ince è subito schierato tra i titolari, che uno dopo l’altro scendono in campo per il riscaldamento. Lui non si muove. Rimane seduto a guardarsi intorno assorto in un silenzio difficile da interpretare. Nello spogliatoio sono rimasti solo i panchinari. Ince ancora non si muove.
Centofanti guarda Paganin: “ Avrà capito che deve giocare subito?”, “Boh, glielo spieghi tu?”.
Ince non conosce una parola di italiano. Nessuno ha il coraggio di disturbarlo fino a quando, zitto e serio come un monaco in meditazione, apre il suo borsone e tira fuori una corda. La salta per una decina di minuti. Poi si gira verso uno dei ragazzini della primavera e gli fa cenno di avvicinarsi. Lo fa mettere nella posizione dello sparring partner di boxe, con le ginocchia leggermente piegate e le mani a conchetta e comincia a prenderlo a pugni. Pugni misurati ma decisi.
E poi bon. Pronto.
Ecco, quello era il suo riscaldamento e credo dica molto del personaggio, anche perché è sempre stato così. Anche in campionato. Anche in pieno inverno.
I suoi muscoli non temevano stiramenti o strappi proprio come lui non ha mai avuto paura, di niente e di nessuno. Perché lui era nato per dominare, anzi, per governare.
Perché lui, era Il Governatore.
C’mon Paul Ince, C’mon.
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zero a zero era finita