Il Loggionista
A me le maglie strane piacciono. Nel mio ristorante preferito le divise dei camerieri sono giallo fosforescente. Il colore lo sceglie il piccolo Medardo, sei anni, prima che inizi la stagione. È il figlio del proprietario, un ex gallerista di enorme talento che ha scelto di cambiare vita, lasciando la città e sposando un’isola un po’ sperduta in mezzo al Mediterraneo. I colori di Medardo sono da sempre un piccolo cult. Quel giallo è chiaramente più adatto a chi svolge lavori autostradali che non alla divisa di una brigata di camerieri; ma quella una scelta un po’ bizzarra, dettata dal cuore e dalla fantasia, crea empatia ed identità intorno a quella piccola e affiatatissima comunità di lavoratori di cui Medardo è diventato lo stilista, e anche la mascotte.
Per questo non mi stupisce che la debacle contro l’Hapoel Beer Sheva (la versione 2.0 di Lugano ed Helsinborg) sia arrivata con un’Inter vestita da lattina di Sprite. Scelte di marketing? Sono disponibile ad offrire da bere alle migliaia di interisti che si contenderanno il prezioso oggetto nei negozi sportivi, sicuro di potermela cavare -al massimo- con 120 euro, il costo di una singola casacca gialloverdeblù. Brinderemo alla tanto auspicata rivoluzione del marketing e alla valorizzazione del brand.
La maglia Sprite, nella disfatta, è una scelta incomprensibile che va molto oltre la sua bruttezza oggettiva e che racconta tutto il nostro spaesamento. Nell’anno zero dell’interismo abbiamo già visto un cambio di panchina, manager sciantose e capitani selfie, due sconfitte cocenti, un allenatore gentile ma un po’ confuso, dirigenti che parlano tutte le lingue del mondo ma che a San Siro non sono proprio di casa, tacendo del fatto che Domenica c’è la Juve e che, ad occhio, non possiamo fingere ottimismo.
Per questo proporrei al bimbo Medardo una consulenza sulla terza maglia dell’anno prossimo. Che sia brutta, ma almeno simpatica. Che ci faccia almeno sorridere. In una parola, ritrovarci, anche se Medardo, per la cronaca, fa il tifo per la Roma.
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