Epic Mondiale (16 km e 339 metri di separazione tra il Brozovic di gennaio e quello di oggi)

Della partita giocata dalla Croazia contro l’Inghilterra, e in generale del Mondiale giocato dalla squadra balcanica, si potrebbe parlare per ore, anzi, forse si potrebbe scrivere addirittura un romanzo. La mossa di kung fu di Perisic, il muro innalzato da Lovren e Vida, la spinta senza fine di Vrsaljko (uno che vedrei discretamente bene sulla nostra fascia destra), la tenacia di Mandzukic (che se non fosse per quella storia del taglio sulla gamba dopo Inter-Juve mi starebbe pure simpatico), la classe e la leadership di Luka Modric. E poi la spinta incredibile di un paese che sostiene la propria Nazionale verso un sogno Mondiale solamente accarezzato 20 anni fa, che ora può finalmente concretizzarsi.

Lì nel mezzo, tra Modric e Rakitic, c’è uno che a gennaio stava per salire su un aereo diretto a Siviglia, allontanato come un appestato dalla Milano nerazzurra ormai stufa della sua incompiutezza. Quella rincorsa pigra su Politano a Sassuolo ce la ricordiamo tutti, in quei 40 metri di indolenza era concentrato tutto il peggio di Marcelo Brozovic, Epic per gli amici (e solo per loro). Avremmo voluto prenderlo a schiaffi, svegliarlo dalla sua cronica indolenza, ma con Pastore che sembrava in dirittura d’arrivo la cosa migliore per tutti sembrava dirsi ciao. Inizialmente per 6 mesi, poi forse per sempre.

Alla fine l’argentino non è arrivato e lui è stato riportato indietro dall’aeroporto, quasi a forza (e probabilmente controvoglia). E ce lo siamo ritrovati di nuovo in campo, col Bologna, sempre indolente, irritante. I fischi durante la sostituzione e l’applauso ironico dicevano tutto di un rapporto ormai logoro. Ecco, da quel momento, non si sa come, le cose hanno cominciato a prendere una piega completamente diversa.

Nell’insondabile testa di Brozovic, per motivi sconosciuti, qualcosa deve essere scattato. Fatto sta che da marzo in poi non ha più sbagliato una partita che fosse una. Anzi, non ha più sbagliato nulla. Il cambiamento, oltre che sul campo, si è riflettuto anche sui suoi canali social, sui quali è passato dal pubblicare robe inspiegabili a essere il primo motivatore di se stesso e della squadra verso un sogno chiamato Champions. Frasi fatte per la maggior parte, ma scritte da uno come lui (su probabile suggerimento di Francesco Facchinetti, diventato suo social media manager) parevano anche credibili.

La Champions poi è arrivata, così come la convocazione al Mondiale. Anche in Russia Brozo è partito in sordina, poi si è messo nel cuore del gioco e si è preso un posto da titolare davanti alla difesa, continuando a fare quel che ha fatto negli ultimi mesi di Inter: sbagliare quasi zero. Tanto che, quando si è trattato di tirare un rigore fondamentale nei quarti contro la Russia, lo hanno spedito sul dischetto senza troppi problemi. E lui ha risposto con la freddezza del campione affermato. Non è da un calcio di rigore che si giudica un giocatore, ma nel suo caso quel tiro forte e angolato sa tanto di maturità finalmente raggiunta.

Poi ci sono i 16 km e 339 metri corsi contro gli inglesi. Quasi una mezza maratona. Nessun altro al Mondiale ha coperto una simile distanza in una partita, nonostante i diversi supplementari giocati. Marcelo è uno che ha sempre macinato chilometri, ma mai così tanti, e sopratutto ogni metro di quei 16 km passati a fare avanti e indietro per il campo ha avuto un senso.

Domenica c’è una finale da giocare. La Francia dei talenti giovani è decisamente favorita, ma dall’altra parte c’è un gruppo che ha voglia di scrivere la storia. E in quel gruppo c’è anche Marcelo Brozovic, quello che fino a 6 mesi fa nessuno di noi voleva più tra i coglioni.

Vederlo alzare la Coppa del Mondo sarebbe davvero qualcosa di epico.

 

 

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