Dicono che il prossimo anno la squadra campione d’Italia, quella che ha appena comprato il giocatore più forte del momento, giocherà (e non sempre) con un solo italiano in campo. Dicono che oggi vada bene, che sia il calcio moderno, che bisogna “finalmente” abbattere le barriere culturali, che il tabù va superato. Oggi va bene, oggi è concesso, oggi è lecito: oggi è probabilmente addirittura virtuoso.
Eppure non era così fino a pochi anni fa. Ricordate tutti i titoloni dei giornali contro l’Inter degli stranieri. Ricordate tutti gli strali dei giornalisti pronti a stracciarsi le vesta per quell’Inter che non investiva sugli italiani e che per questo motivo rappresentava l’origine prima di tutti i mali del calcio italiano. Ricordate tutti i peana di quanti contavano con le dita gli italiani in neroazzurro per dimostrare come fosse quella la causa di tutti i piagnistei di una squadra che ha ricevuto poi giustizia solo grazie alla Giustizia. Non dimenticate quel dito puntato, non dimenticate quel sentirsi stranieri in casa propria, non dimenticate quell’ostracismo benpensante di chi con i benefit della difesa dell’italianità non faceva altro che dipingere d’oro il proprio orticello.
Non ci si vuole arrampicare su puerili polemiche, dal “riveder le stelle” in poi dovrà essere un’estate su cui volare alti. Ma proprio per questo occorre rivendicare una legittima subalternità: quella di una società che agli inizi del ‘900 rivendicava con forza il nome “Internazionale” e che avrebbe fatto di questa scelta un marchio di fabbrica. Una società nata senza confini, anzi: nata proprio dal rifiuto di pensare in ottica meramente nazionale, per guardare al mondo ed al pallone nella sua più raffinata poesia dalle sfumature sudamericane, europee e oggi anche orientali. Un’identità spesso difficile ma mai ripudiata, riaffermata e rafforzata per oltre un secolo, superando ogni tipo di contesto e di ostilità. Ma del resto era già stato tutto scritto allora: “Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo d’oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo”.
Oggi che tutto è finalmente amalgamato alla cultura sportiva vigente, ora che l’idea dell’italianità come valore è stata superata da una più intelligente visione internazionale, ora che i peana si son sopiti ed i malpensanti accantonati da una realtà che non vogliono né possono più negare, ecco che “Internazionale” non è più solo nel nostro stemma, sul nostro cuore, ma anche nella loro vita, nella loro mente.
E di questo (perché il tempo è galantuomo), oggi c’è davvero da andarne fieri.
di Giacomo Dotta
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