Amare Diego Milito dall’altro lato della trincea

di Fabio Fanelli

Diego Milito è silenzio e bisbiglio. È un vizio, una colpa. Il peccato di una confessione.

Chi come me non ha potuto festeggiare i suoi goal perché da un lato altro della trincea del calcio, può parlare di Milito solo a voce bassa, mangiandosi le parole, abbassando il volto e per una volta nascondendo sotto la maglia la piastrina di soldato. Perché nell’arte della guerra si può concedere al nemico il privilegio del rispetto, persino quello dell’onore e della stima, ma amarlo è alto tradimento.

04_milito

Come peccato, Diego Milito ha a che fare con il desiderio, l’invidia e l’ira. Il desiderio chiede, l’indisponibilità muove l’invidia, l’invidia senza tregua genera l’ira. Il resto lo fa la frustrazione dell’amore non corrisposto che è cosa assai peggiore del sentimento osteggiato. L’amore è il bunker di Romeo e Giulietta nella guerra tra le loro famiglie, un nido crivellato di colpi ma pur sempre un nido. Nel sentimento ignorato, l’amore diventa, invece, il fiume di Ophelia: un letto di delusione e solitudine, frustrazione e abbandono.

Amare Diego Milito dall’altro lato della trincea era un po’ come vivere certe scene di “Salvate il soldato Ryan”. Significava rimanere immobili, intontiti nel furore della contesa, con i rumori ovattati dal fragore dei colpi. Significava vedere il tuo nemico segnare punti per i suoi, avvicinare i tuoi avversari a quella linea che separa l’ennesima battaglia riuscita dalla grande guerra vinta. È per questo che il rispetto, l’incapacità di disprezzare, l’ammirazione per Diego Milito sono state per me colpe da espiare. Inopportune: come avere nella tua camera il poster del cecchino dei tuoi nemici.

03_militoringrazia

Il fatto è che Milito per lungo tempo non è stato sceneggiatura, solo canovaccio. Segnava. Non faceva altro. Goal. Un altro goal. Ancora un altro goal. Basta. Nient’altro. Diego Milito riempiva gli spazi dei referti arbitrali ma lasciava libero tutto il resto. Per chi tifa il calcio, tutto il resto è il prima e il dopo la giocata: il pensiero, il desiderio nascosto, la simpatia incofessabile, il distacco freddo dell’idolo che rimane sempre neutrale anche quando è simbolo, anche quando è icona, bandiera, beniamino. Con le telecamere che Milito schivava ho girato i migliori film della sua carriera alternativa: aveva sempre la maglia dell’Argentina, al massimo del Genova o della squadra del mio torneo di calcetto e mai quella dell’Inter perché il cinema è la vita senza le parti noiose – e i colori ostili.

D’altra parte, se c’è una parola che con Diego Milito non è mai fuori contesto, quella è “finta”. Finta era la realtà alternativa a cui affidavo il mio desiderio di un centravanti alieno alla squadra per cui giocava e segnava, liberato dal suo peccato e capace di liberare me dal mio. Finta era la realtà plastica di gran parte delle sue giocate risolutive. Quel modo di spostare la palla da un lato per poi sterzare nella direzione opposta e guadagnare lo spazio decisivo a poter calciare senza contrasto. Tra queste finte, l’unica verità: Milito è stato un centravanti di rara purezza e qualità. Un giocatore dalle giocate semplici ma straordinariamente efficaci. Il suo controllo di palla è stato l’incipit chirurgico di buona parte dei suoi racconti formato goal. Quel modo di aggiustare il pallone portandolo avanti, in posizione di dominio, nella condizione ideale per puntare l’avversario o calciare aprendo il piatto, stringendo la traiettoria, lasciando andare il collo del piede. Destro e sinistro sono categorie superate: come in Gaber.

01_milito
Soprannome “El Principe”, come Francescoli, altro grande attaccante uruguaiano. Un principe riconoscente. Perché se fai un assist a Milito, lui prima segna e poi ti indica, sempre. Non corre da solo. Non celebra se stesso. Condivide sempre il giro d’onore con chi è stato con lui sulla biga. I re sono assoluti, i principi possono condividere la corte.

La prima volta che ho visto giocare Diego Milito dal vivo, ho pensato che non avevo mai visto uno steward così bravo a giocare a calcio. Dava sempre le spalle alla porta. Quando si allargava per ricevere sugli esterni, sembrava quasi guardasse verso la tribuna, indifferente al palco verde che gli era dietro. E così lo vedevo proteggere la palla quasi fosse un carrozzino nella ressa, e poi toccarla verso un compagno, girarsi e attaccare lo spazio come i nuotatori dopo l’ultima virata. Poche giocate e sempre intelligenti. Tante sponde. Nei triangoli di gioco sembrava un tornello: ti veniva incontro per lasciarti passare alle spalle, con molto più spazio di un attimo prima.

Racing-2-Lan-s-1-diego-milito-39381056-480-306
Una notte, a Madrid, l’ho visto sposarsi per sempre con una storia che non poteva più diventare la nostra. Quella notte, il canovaccio è diventato film e sceneggiatura chiusa, perfetta, intoccabile da ogni mio tentativo di finzione. A Madrid, Diego Milito ha inciso il suo nome su una fede che mai sarebbe potuta essere al mio dito. Quando il prete ha detto “se qualcuno ha qualcosa in contrario parli ora o taccia per sempre” io sono rimasto zitto. Avevo in contrario tutto, ma nel copione di quel film ero protagonista senza battute: far tacere me e quelli come me per sempre era stato il suo regalo di nozze alla sua sposa.
Noi, che eravamo tanti. Noi, che saremo sempre gli “anti”.
Ad Avellaneda, in Argentina, gli hanno appena intitolato una strada: si accede con una finta da un lato per poi sterzare dalla parte opposta.

Rispondi

Powered by WordPress.com. Theme: Baskerville 2 by Anders Noren.

Up ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: