Non si fanno prigionieri (forza Zhang, è ora di sistemare le cose)

Di Hendrik van der Decken

Ci sono già stati momenti bui nella storia nerazzurra, come in quella di tutte le squadre. Prima o poi si passa attraverso il girone infernale di quello che sembra un circolo vizioso senza via d’uscita, finché l’uscita invece si trova. Quello che però non sfugge all’osservatore attento è che quando di solito capita ciò, c’è sempre un’azione o una strategia pianificata che porta il club incagliato in successive stagioni di sconfitte fuori dalle secche del fallimento. Personalmente, e per la mia esperienza professionale, non credo alla sfortuna: certo, questa esiste nel momento in cui la palla rotola sul campo e prendi un palo o subisci un’autorete con una deviazione completamente casuale, o magari il tuo giocatore migliore incappa in un lungo infortunio, e questi episodi magari ti fanno perdere un campionato o ti fanno uscire dalle coppe.

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Ma una stagione vincente, così come s’intende negli States – quindi non necessariamente una stagione con dei trofei vinti, ma anche soltanto una stagione dove la squadra rimane competitiva fino alla fine pur non vincendo – è sempre frutto di una serie di decisioni, quasi sempre strategiche più che tattiche, passando dalle azioni coordinate di uno staff, alla scelta delle persone giuste per portare avanti detta strategia (dirigenti, allenatori, giocatori) per finire al dispiegamento delle risorse a disposizione per eseguirla e portarla a compimento.

Vale in tutti i contesti organizzati, dalle aziende, alle squadre di calcio, alle bocciofile: il principio non muta, cambia semmai la sua declinazione e ovviamente la sua applicazione.

Quello che lascia letteralmente esterefatti nell’analisi dell’attuale situazione nerazzurra è la sequenza ininterrotta di pessime decisioni prese una dietro l’altra, quasi ad apparecchiare appositamente un disastro ampiamente annunciato. Ancora più sconvolgente per il tifoso-osservatore vedere situazioni, respirare atmosfere e vivere momenti che si ripetono con tremenda regolarità. Ma quello che lascia assolutamente terrorizzati è osservare come dette situazioni e atmosfere siano uguali a quelle già viste e provate dieci, quindici, venti anni fa.

E questo fa scattare una serie infinita di allarmi, perché in questo lasso di tempo sono cambiati non solo com’è nella natura delle cose i giocatori e gli allenatori, ma sono cambiati dirigenti, assetti organizzativi, presidenti e persino proprietari: questo ripetersi di situazioni va quindi capito, analizzato e possibilmente spiegato, perché se tutto cambia e niente cambia, c’è qualcosa di radicato e oserei dire atavico che va cercato e rimosso. Questa analisi non vuole essere quindi un’astiosa rassegna di colpevolezza né un tribunale, ma è una rassegna di eventi e di possibili rimedi futuri che deve essere fatta con spietata sincerità. Guardiamo cosa è successo, quindi, in rapida sequenza, chiarendo com’è doveroso che le valutazioni in merito sono totalmente personali e quindi opinabilissime.

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La stagione è stata compromessa la prima volta nel momento in cui hai un allenatore e non riesci né a chiudere con lui a giugno perché è evidente che le intenzioni delle parti non coincidono più, né a convincerlo ad andare avanti fino alla fine della stagione.

La stagione è poi compromessa per la seconda volta, ammesso che fosse rimediabile la prima, quando scegli un allenatore nel momento in cui il calendario dice che tra due settimane giocherai la prima partta di campionato, quando anche il più scalcinato follower dell’Eredivisie sa che egli ha certe caratteristiche (assoluta necessità di tempo per sé e per la squadra, conoscenza dell’ambiente e del campionato), incompatibili con i risultati immediati (o almeno con un’elevata improbabilità che li ottenga), sapendo invece che questi sono un “must” e un obiettivo imprescindibile, nonché parte fondamentale della strategia adottata dalla dirigenza.

Per finire, la stagione è compromessa per la terza e probabilmente definitiva volta, anche se la possibilità che non lo fosse era ormai diventata esponenzialmente infima, quando costringi l’allenatore a fare un gioco che non è il suo. Se sia stata la pressione dei dirigenti o della squadra a far abiurare Frank de Boer all’idea di gioco che stava cercando di importare all’Inter non lo so, e in fondo credo abbia un’importanza davvero relativa. Per quanto la classifica non avesse fino al match casalingo contro contro il Cagliari premiato il gioco prodotto anche a causa dei meccanismi difensivi decisamente insufficienti, la squadra aveva giocato male solo la prima partita contro il Chievo, mostrando dei progressi incoraggianti quasi ogni domenica. Ma se Frank de Boer deve snaturare la sua idea di calcio cercando di fare un calcio sparagnino e di conserva, ci sono millanta allenatori migliori di lui per portare in campo quel tipo di gioco.

Nel momento in cui scrivo, l’esonero del tecnico olandese sembra l’esito più probabile, per non dire certo, di questa vicenda. Quel che segue, rimane valido in ogni caso: sia che de Boer rimanga, come francamente spero, sia che venga rimpiazzato da qualcuno che punti a portare a termine la stagione nel modo più indolore possibile.

Voglio essere chiaro, perché la mia predilezione per il calcio Oranje può essere comprensibilmente fraintesa: ritengo senza tema di smentita che si può vincere in tanti modi, ed eccetto quelli in cui c’entrano SIM svizzere e slovene, tutti legittimi e con merito. “Bel gioco” è un’affermazione senza senso perché l’estetica non è oggettiva e i gusti sono insindacabili. Se a me piace un calcio fatto di possesso e a Michele Dalai il tiki-taka fa venire l’orticaria, le due valutazioni rimangono valide in assoluto per entrambi gli individui: ho ragione io, e ha ragione Michele. Vincere portando a casa tre punti ogni domenica tirando in porta una volta e difendendosi per 89′ è legittimo e meritevole quanto vincere giocando come il Barcellona, su questo non ci può essere il minimo dubbio. Ma alcuni allenatori praticano un tipo di gioco che richiede necessariamente, e senza eccezioni, un apprendistato. Non puoi arrivare ad essere nella condizione di poter vincere giocando quel calcio se prima non impari a giocare quel calcio. Semplicemente, quel modo non prevede scorciatoie. Sarri, Guardiola, van Gaal, Di Francesco, Sacchi, de Boer, Luis Enrique, Zeman… continuate voi l’elenco, possiamo andare avanti per un pezzo.

Tutto questo doveva e deve essere ben presente nella mente di ogni dirigente calcistico. Trascurare questo tipo di nozioni francamente elementari dà la misura dell’approssimazione grottesca che ha circondato il processo decisionale dell’FC Internazionale nel momento in cui si è scelto Frank de Boer per rimpiazzare Roberto Mancini. Perché è evidente che se l’allenatore è sotto accusa per i pochi punti portati dopo due mesi e mezzo scarsi di attività, con una squadra che lui non ha potuto scegliere in alcun modo, né sotto il profilo dei giocatori in rosa né sotto quello della preparazione atletica né tantomeno tattica, il suo profilo non poteva e non doveva essere preso in considerazione. Non in quel momento, non in quelle circostanze. Questa cosa è stata detta in tutti i modi e in tutte le salse da coloro, me compreso, che seguono assiduamente il campionato olandese e che hanno seguito il lavoro di de Boer all’Ajax. È assolutamente inconcepibile che questo concetto non fosse noto e assolutamente chiaro in chi ha preso la decisione di ingaggiare il tecnico quattro volte campione d’Olanda. Non c’è nessuna giustificazione.

Si può sbagliare un allenatore, non è questo il punto: si può pensare che abbia certe caratteristiche ma purtroppo, per vari motivi, queste si rivelano inadatte al compito. L’abbiamo visto tante volte dappertutto, non solo all’Inter: non si può sbagliare invece nel momento in cui quelle caratteristiche sono, con tutta evidenza, non consone alle esigenze che il club ha stabilito di avere in quel preciso momento. Se dobbiamo chiamare le cose col loro nome, questo si chiama dilettantismo, nel migliore dei casi; incompetenza, in quelli più seri.

E attenzione: ho sentito dire da tantissimi, davvero tantissimi tifosi che “noi possiamo vincere solo giocando in un certo modo”. Potrebbe essere vero, ma per come la vedo io anche questa è la certificazione che siamo ben lontani dal essere o dal poter diventare un grande club a breve. Nessun grande club si autolimita in questa maniera: caso mai ha delle preferenze e cerca di assecondarle, ma il Barcellona – se costretto ad assumere, che so, il Cholo – non rifiuterebbe mai di sostenere Simeone come proprio allenatore dicendo che “da noi non si può vincere giocando così”. Barcellona, Real, Bayern, Manchester e fate voi la lista. Di italiane non ne cito, ma purtroppo ci sono, e non sono l’Inter.

È quindi arrivato il momento, oserei dire il dovere, di essere chiari e senza mezzi termini, per quanto male possa fare in primis a me che scrivo: Oggi l’Internazionale è un club di medio-alto livello, anche per la storia gloriosa che gli appatiene, che però non fa parte dell’elite del calcio mondiale. E non è che non ne faccia parte per motivi puramente economici, ma piuttosto perché i limiti strutturali, organizzativi e dirigenziali sono tali e tanti da non poter in nessun modo far annoverare la società tra le grandi del calcio.

Questa è la cruda verità. La speranza è che la nuova proprietà lo capisca in fretta, azzerando completamente i ruoli di responsabilità all’interno e ripartendo con un roster dirigenziale completamente nuovo. Come accennato, l’evidenza ci dice che cambiare proprietà, presidenti, allenatori, giocatori, amministratori, non ha portato alcun cambiamento nelle tare storiche di questo ambiente. Va operata una ristrutturazione generale che porti all’interno del club menti fresche, non condizionate da una serie di situazioni stratificate nell’ambiente nerazzurro, e che a livello societario e dirigenziale non può ormai non essere considerato diversamente da un handicap che limita le prestazioni del club e, conseguentemente, un difetto da eliminare.

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Ogni visione più morbida di questa darebbe la misura chiara di non aver compreso il problema, le soluzioni necessarie, ma soprattutto quanto in profondità la radice del disastro tecnico-sportivo sia profonda. Perché tutto questo, fratelli di tifo, non è teoria e non rimane confinato in un’analisi più o meno accurata delle strategie dirigenziali e degli errori organizzativi: tutto questo si traduce in ciò che vediamo in campo e che ci fa esplodere il fegato ormai con frequenza insostenibile, né più né meno di quanto accada in aziende malamente organizzate e senza strategia, le quali vedono riflesse alla fine del mese nei loro pessimi risultati di fatturato le conseguenze delle tare che hanno a monte.

Quello che possiamo fare da tifosi è ciò che facciamo sempre: tifiamo, magari ci accapigliamo – e noi interisti siamo specialisti nel dividerci sempre a metà o quasi – ma rimaniamo compatti dietro la squadra e la società. Ma stavolta leggo e sento qua e là uno scoramento che sta incrinando seriamente la passione nerazzurra in molti, moltissimi interisti.

Questo è un segnale disastroso, ed è per questo che lo scritto che state leggendo vuole essere anche un appello rivolto a Jindong Zhang a fare presto, prestissimo: che dia un assetto all’Inter il più velocemente posibile in modo da attuare la sua strategia, qualunque sia. Perché solo di una cosa possiamo essere certi: Suning non può permettersi un’immagine dell’Inter perdente o dilettantistica, quindi qualunque sia la strategia avrà un solo scopo: portare l’Inter stabilmente nell’elite del calcio italiano ed europeo.

Solo così possiamo confidare in un veloce recupero di competitività. Che Zhang non faccia prigionieri, se necessario, e prenda le decisioni che servono, anche se dolorose. Poi cominci a lavorare duramente con i dirigenti che sceglierà e che siano presenti costantemente attuando e difendendo a spada tratta le decisioni prese, qualunque siano, dall’allenatore al DS, dai giocatori all’amministratore delegato. Ma faccia presto, per amor del cielo, perché ho la netta sensazione che questa sia l’ultima chiamata.

2 thoughts on “Non si fanno prigionieri (forza Zhang, è ora di sistemare le cose)

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  1. Concordo. Il problema però è che Zhang non può conoscere la realtà del calcio europeo ed italiano e quello che servirebbe per mettere in piedi uno staff dirigenziale totalmente nuovo, competente, con una catena di responsabilità snella, chiara ed efficace. Per farlo deve affidarsi a qualcuno che lo consiglia. Fin qua la delega a presiedere la società l’ha data a ET, con i risultati attuali (relativamente alla parte sportiva). Si dice che tenga in forte considerazione MM, che però appartiene al vecchio (e inefficace stando ai nostri ragionamenti) modo di gestire una società. Quindi?

  2. Condivido pienamente lo “spirito” del post. Non so se possa essere utile farlo in corso d’opera, ma fosse per me a fine stagione azzererei completamente l’intero impianto societario per manifesta incapacità, tenendo i soli Ausilio (con il compito esclusivo di fare mercato) e Zanetti (a cui però ritaglierei un ruolo più che altro diplomatico, da ambasciatore dell’interismo). Come spiega bene l’articolo la gestione della vicenda De Boer è paradigmatica rispetto al come “non si fanno” le cose. Domenica ho provato un’infinita tristezza nel vedere un allenatore lasciato solo davanti ai microfoni a rispondere del suo futuro. Personalmente spero che FdB resti, a patto però che continui a fare il FdB. Fino alla fine del primo tempo della partita con il Cagliari si intravedeva una filosofia, un’idea di gioco che prendeva forma, nonostante gli svarioni difensivi (legata anche alla pochezza degli interpreti). Poi col Southampton e l’Atalanta mi è sembrato che abbia prevalso la voglia di preservare il posto in panchina, con un cambio di modulo e di atteggiamento evidenti. Non li ho trovati in rete, ma sarebbe interessante andare a guardare i dati sul possesso palla, sulle zone di campo in cui questo è stato esercitato e sulle occasioni prodotte. Ora leggo che questo atteggiamento più speculativo potrebbe essere stato indotto dalla società o, peggio ancora, da alcuni senatori. leggo che mentre FdB chiedeva alla squadra di salire, Miranda invitava i compagni a restare bassi. Non so se le ricostruzioni giornalistiche siano vere, con l’Inter il più delle volte accade il contrario. In tal caso, però, la situazione sarebbe ancora più grave, la via d’uscita ancora più lontana… e la necessità di resettare tutto ancora più urgente.

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