Indagine su una società al di sotto di ogni sospetto (chi ci mette la faccia, signori?)

Una doverosa premessa: questo post non affronterà temi finanziario-gestionali per due motivi molto precisi. Il primo è l’incompetenza di chi scrive (e l’onestà che mi spinge a non propinarvi dei copia e incolla generici), il secondo è che per una volta vale la pena di prendersi il lusso di un’analisi delle strutture decisionali e non della solidità economica, che al momento pare scontata. Aggiungo anche che fin dove possibile abbasserò i toni della passionalità da tifoso, quella che da giorni spinge noi de Il Nero e l’Azzurro ad alternare un po’ istericamente euforia e pianti, chiamate alle armi e sdegno, confusi  come tutti da un andamento della squadra così inspiegabile e scriteriato.

L’organigramma dell’Inter è molto ricco di nomi e competenze, lo trovate qui (anche se rispetto ad altre pagine simili la scelta della società è quella di presentare solo la prima fila e non tutte le persone che contribuiscono al funzionamento della macchina nerazzurra). In tre passaggi di proprietà qualcosa è cambiato, se ne sono andati Branca, il discusso Bollingbroke, il molto discusso Fassone e il resto si è assestato per cambiamenti e percorsi interni. La carriera interista di Alessandro Antonello per esempio lo ha portato dal ruolo di Direttore Finanziario a quello di Amministratore Delegato gradito a Zhang, a Thohir che l’aveva assunto e pare anche a Moratti. Oltre a una peculiare competenza amministrativa, della quale possiamo solo intuire la portata da quaggiù ma che in effetti ha permesso all’Inter di lavorare meglio su conti e indebitamento, Antonello tiene a far sapere nelle sue biografie ufficiali e ufficiose di essere interista.

Il Direttore della comunicazione si chiama Robert Faulkner ma all’Inter il suo ruolo è quello di Chief Communications Officier, perché pazienza se non funziona nulla e se siamo lo zimbello di stampa e televisioni, l’importante è avere una descrizione del proprio lavoro (pardon, una job description), molto fascinosa, anglofona e spendibile nei salotti buoni del calcio che conta. Quello a cui non accediamo più da anni, per intenderci. Faulkner e il suo staff sono i signori che hanno gestito il caso dell’autobiografia di Icardi in quel modo delirante, permettendo a chiunque di sparare sul giocatore e senza controllare il testo del libro in uscita. Sono quelli che hanno permesso che De Boer fosse preso a sputi e pernacchie per tre mesi, senza mai intervenire, senza esercitare pressione su chi si permetteva di trasformarlo in uno zimbello.

L’intramontabile Piero Ausilio è il Direttore Sportivo, una caso molto fortunato il suo. In primo luogo è riuscito a conservare un lavoro in italiano, misteriosa eccezione nella foresta di titoli misteriosi. Poi e soprattutto è l’unico Direttore sportivo a non essere valutato per la qualità del suo lavoro ma in nome di qualche misteriosa virtù. Ha portato all’Inter giocatori terribilmente deludenti, fatica come nesuno a condurre le trattative in uscita ma ciò nonostante è sopravvissuto al commissariamento vero, presunto, eventuale ma comunque auspicabile di Sabatini.

Giovanni Gardini è il Chief Football Operations Officier. Al Verona faceva il Direttore Generale, da noi no. Cosa fa Gardini ma soprattutto chi è e perché l’abbiamo voluto strappare a tutti i costi al Verona? Fa il Chief Football Operations Officier, cioè si occupa di seguire le relazioni istituzionali sportive, l’amministrazione dei trasferimenti dei giocatori e la supervisione della segreteria sportiva. Quindi fa il Direttore Sportivo? No, quello è Ausilio. Fa il Direttore Generale? No, quello non c’è più. Si occupa della squadra? No, a quanto pare no.

Michael Gandler è il Chief Revenue Officier, il direttore commerciale per dirla un po’ più semplice, ma non è semplice perché si occupa anche di marketing e soprattutto era l’erede designato di Bollingbroke, il delfino di Thohir che a Milano ricordano con affetto soprattutto i ristoratori e i gestori dei locali più esclusivi. Gandler aveva velleità di crescita verticale ma si è ritrovato Antonello tra i piedi e ora soffre nel suo ruolo, che poi diciamocelo che fare marketing nell’Inter di questi anni deve pure essere uno strazio e infatti in suo soccorso corre Michael Williamson, anche lui della cordata indonesiana,che fa strategie. Williamson è il Chief Strategy Officier, il direttore del marketing strategico. se ci sono buone idee all’orizzonte, Michael le svilupperà per noi e noi le consumeremo da bravi tifosi, al momento giusto.

Nel caso vi siate distratti, Erik Thohir è ancora il Presidente dell’Inter, per male che possa fare, per ridicolo che possa essere il tutto. La nuova proprietà cinese lo tiene in ostaggio, vincolato al ruolo come Presidente di garanzia, una cosa che sa un po’ di scudo umano, messo davanti al bersaglio per verificare che non ci siano pacchi. Il suo vice è Javier Zanetti, la cui job description è semplice: ex campione, bandiera e garante dei valori morali legati ai nostri colori. Ah, nelle sue mansioni pare ci sia anche quella di mangiare gelati all’intervallo, a oggi altro non risulta.

Ultima dei citabili, perché poi ci sono i membri del CDA e i Sindaci, è la stoica Milly Moratti, passata dal ruolo cruciale di Direttore Creativo a quello di Advisory Board. Metti che dalla Cina Zhang abbia bisogno di qualche consiglio, di dritte sull’andamento degli affari nerazzurri, basta una telefonata alla Milly e tutto si aggiusta.

Vi ho riassunto nomi e competenze della gioiosa macchina da guerra nerazzurra per avere uno spaccato completo di una società attrezzata in ogni ruolo e convinta di presentare delle eccellenze, di produrre qualità e mostrare competenza. Puro efficientismo anglosassone in salsa asiatica. Dietro questa prima fila, un brulicare di giovani aspiranti, di tecnici, di professionisti che completano i ranghi.

Ci siamo? Bene, ora andiamo avanti.

Qualche giorno fa il povero Frank de Boer (ho deciso che per menzionarlo è obbligatorio aggiungere quell’aggettivo, povero, ogni volta), ha rilasciato un’intervista molto interessante a Ziggo (la trovate tradotta qui), il cui sunto è che all’Inter non esiste organizzazione, che i giocatori fanno quello che vogliono e che c’è un gruppo di 8 in particolare che decide le sorti della squadra. De Boer non fa nomi ma lascio che siate voi a compilare la lista. Non è difficile, pensate ai più longevi e quindi più perdenti, Ranocchia escluso perché fatico a pensarlo in posizione di forza. Allora ci chiediamo tutti: ma Gardini? E Ausilio? E Antonello? Un organigramma pomposo, medaglie per tutti e della squadra chi si occupa? Del prodotto, del buon funzionamento della macchina, dell’asset fondamentale di una società sportiva o che ha nello sport il suo business principale, chi si prende cura?

Vogliamo considerare le parole di de Boer prive di fondamento? Bene, procediamo a ritroso. Torniamo all’era Moratti, un po’ perché parte della dirigenza viene da lì (Ausilio in primis), e un po’ perché è nella struttura anarcoide dell’Inter morattiana che germoglia il seme dell’autogestione. Non valuteremo qui la bontà della gestione di Massimo Moratti, i suoi 20 anni di presidenza. Impossibile trovare una chiave, Moratti ha trattato l’Inter come cosa di famiglia e l’ha gestita come se non dovesse mai cederla, come se la sua storia d’amore con squadra e tifosi dovesse durare in eterno. Ha garantito personalmente debiti e situazioni finanziarie complicate, ha sempre messo la faccia nelle scelte positive, nelle vittorie e nelle sconfitte, non ha mai scaricato il barile sui suoi manager anche perché li ha sempre e sostanzialmente cavalcati, con poche eccezioni. Passare da una folle moltiplicazione di ruoli e stipendi, dalla dispersione di competenza e dal decisionismo presidenziale a costruire una società virtuosa non era facile.

Infatti non è successo.

Tralasciamo per un istante il risanamento dei conti e le grandi assunzioni di responsabilità degli Zhang, che hanno comprato l’Inter da un finanziare scaltro e molto concentrato sul proprio profitto, che aveva ulteriormente indebitato la società e che forse in Suning ha trovato una via d’uscita miracolosa e inaspettata. Ora aumenta il fatturato dell’Inter e la stabilità pare un punto d’atterraggio raggiunto. Poi c’è la questione degli investimenti bloccati, come se questi signori non avessero già speso delle cifre folli per farsi truffare su nomi come Joao Mario, Gagliardini e Gabigol (un caso da denuncia), ma non è questa la sede e nella mia opinione la nuova proprietà ha responsabilità molto limitate nello sfacelo degli anni scorsi e condivise in questo strazio di stagione.

A livello decisionale, nella gestione delle risorse umane l’Inter è un incubo, uno di quelli che si ripetono identici ogni notte, nel nostro caso ogni anno. Chi paga il conto di una catena di errori angoscianti? All’Inter le vittime sacrificali sono gli allenatori. Nessuno dei signori elencati poco sopra ha mai pagato, nonostante la gestione della crisi sia parte delle loro competenze. Solo e sempre gli allenatori.

Benitez aveva dei brutti calzini ed era antipatico, Leonardo era troppo bello per allenare e non era preparato, Gasperini era inadeguato al ruolo e all’importanza della panchina, Ranieri era bollito e troppo romanista, Stramaccioni era giovane e poco rispettato dai giocatori, Mazzarri era un piangina e ci faceva giocare male, Mancini era una minestra riscaldata ed era troppo capriccioso, De Boer non parlava italiano e non capiva il calcio italiano, Pioli era troppo galantuomo e troppo interista. Vecchi stava meglio in Primavera. Ora anche Spalletti non capisce più niente, non ha costruito un gioco e forse non è l’allenatore adatto all’Inter.

Già ma chi mette a loro disposizione il materiale umano? Chi dovrebbe garantire il rispetto di ordini, regolamenti e buona condotta? A chi spetta trasmettere un codice etico e chiedere che venga osservato, chi dovrebbe trasmettere l’importanza della maglia e la solennità del blasone? Proprio loro, gli ineffabili nomi infilati nelle caselle dell’organigramma. Prendiamo per buone le parole di De Boer. Il calcio lo conosciamo, lo vediamo tutti da troppo tempo per non aver capito che se proprio non dice la verità, le dichiarazioni dell’ex nazionale olandese sono almeno verosimili. Gasperini, Benitez, De Boer e Pioli sono saltati per evidenti ammutinamenti dello spogliatoio, che al di là dell’antipatia umana per alcuni dei quattro allenatori citati, sono fatti di una gravità inaudita già quando succedono la prima volta, figuriamoci quando si ripetono all’infinito.

L’impressione è che l’Inter sia un parcheggio di lusso in attesa di qualcosa di meglio o al limite un buon cimitero degli elefanti. Un luogo in cui calciatori più o meno talentuosi percepiscono ottimi stipendi in nome di prestazioni altalenanti ma comunque inadeguate. Il copione degli ultimi anni dovrebbe accendere segnali di allarme drammatici per il board nerazzurro, che pare invece più che altro impegnato a inseguire i nuovi padroni per posizionarsi meglio, per entrare nelle loro silenziose grazie. La squadra percepisce lo scollamento e dopo i soliti tre mesi lanciati si sfalda alla distanza. Di analisi tecnico-tattiche ne abbiamo fatte valanghe, di profili psicologici anche. Non è più interessante, quando un male si cronicizza è inutile rileggere ancora e ancora la diagnosi, tocca intervenire radicalmente ma per farlo ci vorrebbe una dirigenza.

I funzionari anonimi, i manager mercenari e senza passione nel calcio proliferano da un po’. Vengono dai fondi d’investimento, dalle alte scuole, dalle merchant bank e dalle multinazionali. Il calcio produce o forse produceva fatturati mostruosi e le competenze richieste sono diventate sempre più numerose e diverse. L’ingresso di questo genere di professionisti nelle società è pero tollerabile solo se la guida, se chi prende le scelte e le pianifica continua ad avere un cuore in buona salute, ad avere passione e conoscenza del mercato in cui opera. soprattutto se si parla di sport.

Ora che siamo qui con il culo in terra, quinti e pronti a peggiorare una stagione che da sogno si è trasformata in osceno deja vu, per una volta proviamo a restare lucidi senza saltare alle conclusioni. L’Inter non cambierà mai se il cambiamento che vogliamo resta nelle mani di allenatori isolati e giocatori in malafede. L’Inter cambierà davvero faccia solo quando sarà affidata a professionisti competenti e sarà loro concesso di lavorare secondo piani pluriennali ma anche di intervenire con durezza quando accadono cose come quella denunciata da De Boer, come quella taciuta da Pioli.

Possiamo cantare per ore cori contro i giocatori, gridargli che devono tirare fuori le palle o che dovrebbero andare a lavorare, servirà a poco. Che abbiano o non abbiano le palle, quello è il loro lavoro e quello resterà finché ci sarà qualcuno che permette loro di farlo male, malissimo. L’organigramma dell’Inter è molto ricco di nomi e competenze sbandierate, il miglior augurio che posso fare a tutti noi è si svuoti e venga riempito di nomi ricchi di competenze e un po’ meno sbandierati.

Forza Inter, questo non ce lo toglieranno mai.

 

2 thoughts on “Indagine su una società al di sotto di ogni sospetto (chi ci mette la faccia, signori?)

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  1. Ottimo articolo.
    Bisognerebbe stamparlo e incollarlo fuori da San Siro o alla Pinetina.
    Spalletti ha fatto delle denuncie precise e gravissime, dovrebbero parlarne tutti i giornali e sopratutto tutti gli interisti.
    Ma se appunto Ausilio è quello che passa le soffiate per avere buona stampa, nessuno della stampa si darà mai la zappa sui piedi denunciando la cosa.
    E noi saremo sempre da capo.

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