Giovane, forte, interista: Nicolò Barella

L’estate del 1988 non me la ricordo, ho iniziato a seguire il calcio qualche mese più tardi: il tempo di godermi lo scudetto dei record. Ma deve essere andata più o meno così. Giovanni Trapattoni, ex allenatore juventino, va dal presidente Pellegrini e chiede due giovani italiani. Un’ala del Cesena e un centrocampista centrale della Fiorentina. Nessuno dei due ha la fama di Vincenzo Scifo, che viene ceduto al Bordeaux, ma di questo l’inter ha bisogno. L’ala si chiama Alessandro Bianchi, ed è un giocatore regolare, senza strappi, un laterale atipico. Altrettanto atipico è Nicola Berti, perché gioca con il numero 8 ma è uno dei primi centrocampisti capaci di di colpire un pallone di testa nella propria area di rigore e di essere qualche secondo più tardi dalla parte opposta a fare il centravanti. Vorrei non scomodare la cavalcata impossibile contro il Bayern Monaco, ma non ce la faccio. Quando penso a Berti non posso non pensare a quel gol lì.

L’estate del 2019 ha alcuni punti in comune con quella. L’ex allenatore della Juventus (francamente non condivido aver rimosso parte del suo CV nel presentarlo) e l’intenzione di cominciare il restyling, perché chi ha parlato ricostruzione o addirittura di rivoluzione è il solito esagerato, dal centrocampo. Nello specifico da due centrocampisti italiani. Né Sensi, né Barella ricordano Bianchi e Berti, eppure la sensazione è proprio quella lì. O almeno voglio crederlo per una questione di scaramanzia e perché mi sono stufato, francamente, di questo disfattismo.

E quando dicono che Barella è stato pagato troppo, che 45 milioni non sono il prezzo del suo cartellino, mi viene in mente una frase di mio padre – che era milanista, ma amava Berti – “Quasi otto miliardi lo hanno pagato sto ragazzo! Però è bravo, lo seguo da quando gioca con il Parma”. Mio padre era un fine intenditore di calcio, non si sbilanciava mai, e quando lo faceva era per una sentenza o per una consacrazione. Mio padre è stato il primo a spiegarmi che alcuni giocatori sono bravi in provincia e si cagano addosso quando mettono piede a San Siro, ma che Trapattoni sapeva riconoscere chi non aveva paura di San Siro. Ed era vero. Non ho mai visto tanti leader nella stessa squadra. E quindi, se tanto mi da tanto, voglio essere fiducioso anche nei confronti di Conte. Lui che è riuscito a far sembrare leader anche Pellé e Giaccherini, può farci questo grande favore. E se pensate che su questo magazine siamo bipolari, avete ragione: io sono quello che adora il Conte allenatore e non fa nulla per nasconderlo. La notizia incredibile è che convivo serenamente con i fratelli del mondo che la pensano in maniera opposta.

Fatta questa lunghissima parentesi va detto che Barella ricorda più Matteoli. O almeno il Matteoli che abbiamo conosciuto all’Inter, altro uomo svolta dello scudetto dei record. Un po’ per la statura, un po’ per le origini sarde. Anche Niccolò infatti sentiva forte la responsabilità di vestire la maglia del Casteddu: «Vivere e crescere in Sardegna vuol dire sentirsi parte di un popolo. Avverto la responsabilità quando scendo in campo per i colori del Cagliari, ma per me è un orgoglio. Come se mi sentissi spinto da un’intera comunità e dalla sua passione» aveva dichiarato a Sportweek l’inverno scorso. È stato proprio Matteoli a portarlo a Cagliari e un altro ex interista, Gianluca Festa, a farlo esordire in A.

Nella sua breve ma già intensa carriera, Barella ha ricoperto diversi ruoli del centrocampo. Da interditore a trequartista, giocando anche dietro le punte. Un mix di equilibrio in spazi stretti ed esplosività sui primi passi lo rende un centrocampista quasi unico nel panorama calcistico italiano: più si restringono gli spazi, più lui emerge. Istintivo e forte nel tackle, eppure tecnicamente dotato, ha una grande tecnica di calcio, soprattutto quando riesce a colpire il pallone con il collo destro pieno. Gli piace provare il tiro da fuori area al volo, con soluzioni anche discretamente complesse. Le poche partite in Nazionale hanno dimostrato che Barella può dare anche di più, paradossalmente, in una squadra che non si aggrappa solo al suo talento. L’Inter non potrà e non dovrà farlo, dovrò dividere equamente i compiti e le responsabilità, come fece il Trap con Matteoli, Bianchi, Berti e Lothar (che ci manca, e tanto).

In questo Conte è bravissimo, e può rappresentare davvero una svolta. Uno degli errori che sono costati più cari a Spalletti è stato quello di puntare tutto, all-in, sul Ninja. Infortunatosi lui, il centrocampo ha smesso di girare. Prima ancora di iniziare. Radja è andato a sprazzi, ha pagato e sta pagando – a proposito, forza ragazzo e forza Claudia, di cuore – un prezzo più alto di quelle che sono state effettivamente le sue prestazioni quando ha giocato e Spalletti non ha mai trovato effettivamente un piano B a quello che doveva essere il piano A: il belga trequartista. Ah, era belga anche Scifo, sempre nella disperata di corsi e ricorsi storici che possano darci conforto e sollievo. È quindi molto probabile che all’Inter vedremo un giocatore essenziale e meno spettacolare, più impegnato a duettare con passaggi corti con Sensi che ha cercare il passaggio filtrante. Più pulito, non certo meno esplosivo. Più regolare, non meno impetuoso.

Non vuol dire che Barella dovrà sacrificare le proprie peculiarità, ma entrare a far parte di un meccanismo di squadra che farà la felicità sua, di Conte e magari anche nostra. E se la domanda è “Ma abbiamo pagato 45 milioni per un giocatore che deve fare passaggi corti?“. La risposta è sì, e ci manca da anni, fatta eccezione per Borja Valero che però ormai ha solo il compito di addormentare le partite. Ultimo particolare da non sottovalutare: Barella ha 22 anni ed è già padre di famiglia da tre. Forse è una banalità dire che certe cose aiutano a crescere in fretta, ma sento il forte bisogno di farlo ugualmente. Non che questo lo renda migliore di altri, ma ho avuto la fortuna di chiacchierarci durante un ritiro dell’Under 20 di qualche anno fa – con lui c’erano Mandragora, Luca Vido, Pessina – ed ho avuto subito la sensazione che si trattasse di un ragazzo con la faccia da bambino, e la testa di un adulto. Io posso sbagliarmi. Su Conte, che ha fatto di tutto per averlo, ho meno dubbi.

Io non me la ricordo l’estate del 1988. Ma mi ricordo come è andata dopo. E sento che di Barella ci innamoreremo come facemmo con Nicola Berti. Anche se sono due giocatori completamente diversi. Ma questi sono tecnicismi: gli eroi sono tutti giovani e forti. E interisti.

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