Certe volte mi è risultato difficile inquadrare subito un calciatore, capirne le qualità e le eventuali mancanze, altre volte invece mi sono bastati poche giocate per avere un’impressione che poi col tempo si è confermata giusta. Quando ho visto Rafinha toccare i primi palloni con la maglia nerazzurra addosso (nelle partite con Crotone e Bologna, a inizio febbraio) ho avvertito la sensazione che quello che veniva dipinto come incognita, giocatore da squadra media, acquisto di gennaio con poco senso fosse differente dagli altri presenti in campo.
Col tempo questa sensazione è diventata quasi una certezza: nel suo modo di stare in campo, di muoversi, di toccare la palla c’è l’essenza del calcio, oltre al fatto di aver manifestato più volte un sentimento di appartenenza ai colori nerazzurri che è difficile trovare anche in gente che da anni veste la nostra maglia. Insomma, Rafinha ama l’Inter, è uno che in campo rende tutto più facile e ieri si è anche sbloccato dopo mesi in cui il gol sembrava sempre dovergli sfuggire per qualche motivo. In più trasmette sempre positività quando si esprime, è uno di quelli che stai ad ascoltare volentieri perché sai che non dirà cose banali. Come si fa a non amarlo?
Prima di gennaio non lo conoscevo più di tanto, lo ammetto. Associavo il suo nome al fallo di Nainggolan che gli causò un brutto infortunio nell’unica partita di Champions vista allo stadio nei miei primi 32 anni di vita, un Roma-Barcellona che poi finì 1 a 1 (era entrato da pochi minuti e non aveva quasi toccato palla, prima di uscire con un crociato a pezzi), oltre a un golasso visto in tv un paio di anni fa con la maglia blaugrana in una partita di campionato. Poco altro.
Nonostante l’inattività di mesi, per i continui infortuni che gli hanno tolto la possibilità di giocare per quasi tutto il 2017 (non i primi, perché se si prova a cercare la lista dei malanni avuti nella sua carriera, a 25 anni, compare qualcosa di simile a un bollettino di guerra) e nonostante l’impiego iniziale col contagocce però è bastato qualche tocco, un movimento fatto in un certo modo per comprendere lo spessore tecnico e tattico del figlio minore di Mazinho.
Etichettato come fratello un po’ sfigato di Thiago Alcantara, Rafinha si sta dimostrando invece un concentrato di intelligenza e classe, capace come solo quelli che vengono dalla scuola di Messi e compagni di comprendere quel che succede intorno e di fare quasi sempre la giocata giusta. Che sia con un appoggio in fase di costruzione, un passaggio o un tocco smarcante di prima, il suo modo di rendersi utile gli ha fatto conquistare posizioni, fino al punto in cui Spalletti non ha potuto più fare a meno di lui. E nemmeno io riesco a pensare a un’Inter senza di lui.
L’asse di centrocampo con Brozovic (che da 10 partite a questa parte è uno dei migliori mediani della Serie A, come certificano anche siti specializzati in statistiche sportive) ormai è uno dei punti di forza della squadra e ha dato spessore a un reparto che ha sofferto di cronica mancanza di qualità negli ultimi anni.
Riassumendo, Rafinha sa giocare a pallone, ha carisma e resterebbe a Milano qualunque sia la classifica finale perché ama sinceramente i nostri colori. Se Suning vuole davvero il bene dell’Inter dia un segnale forte e lo trattenga, è da quelli come lui che bisogna ripartire per tornare a pensare in grande.
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