Cosa resterà…

“Il gruppo era marcio.” Con queste parole, dettate ai microfoni di Algemeen Dagblad, Frank de Boer è tornato sulla fallimentare esperienza nerazzurra del 2016, terminata con un esonero dopo 14 partite nelle quali la sua Inter aveva accumulato ben 7 sconfitte.

Più che l’accusa nei confronti del gruppo, quello che è maggiormente interessante notare, da un punto di vista tecnico, è quanto affermato dall’allenatore olandese in merito alla proposta di gioco da lui presentata e non assorbita dalla squadra.

A proposito della ricezione da parte della squadra della sua proposta, il tecnico olandese è stato infatti piuttosto chiaro nel sottolineare l’incapacità dei nerazzurri nel recepire la sua proposta: “quando ho provato a fare un gioco posizionale all’Inter, poi…non avevo mai visto niente del genere. I giocatori delle giovanili dell’Ajax lo facevano meglio.”

In questo non è difficile trovare un parallelismo fra la vicenda di De Boer e quella di Corrado Orrico, altro allenatore ‘rivoluzionario’ che non è riuscito ad imporre la propria idea ad Appiano Gentile.

Per tornare sul fallito esperimento De Boer conviene riavvolgere il nastro dall’inizio. L’ex allenatore dell’Ajax sbarca a Milano il 9 agosto, dopo la conclusione della telenovela estiva che aveva visto protagonista l’attuale c.t. della nazionale Roberto Mancini. Arrivato in corso d’opera, quando mancavano appena dodici giorni all’inizio del nuovo campionato, De Boer si era ritrovato catapultato in un calcio completamente diverso da quello olandese. La firma sul contratto triennale faceva però immaginare, da parte della società, la volontà di sostenere quella scelta sul medio-lungo periodo. Invece, dopo appena 84 giorni dal suo insediamento, l’olandese venne esonerato, rinfocolando i dubbi su un progetto tecnico che il club aveva fatto partire ma che evidentemente non aveva sposato in pieno, dando quindi l’impressione di aver puntato su De Boer non tanto per sostenere una nuova idea di calcio quanto piuttosto perché era l’unico nome di un certo peso disponibile al momento dell’improvvida partenza del Mancio.

Di fatto l’ingaggio di un allenatore come l’allora 46enne olandese avrebbe dovuto essere più ponderato e, una volta approvato, sostenuto con più decisione. Infatti, come ricordato proprio da De Boer, il tipo di calcio da lui proposto rappresentava una novità per quella Inter, reduce dalle stagioni del Mancini 2.0.

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De Boer il giorno della presentazione. Il club non ha sostenuto fino in fondo la scelta.

Al debutto in A col Chievo ad agosto l’Inter esce battuta 2-0 a Verona, dove si presenta con un sorprendente 3-5-2. Dopo questa soluzione tattica, evidentemente di compromesso con le idee dell’allenatore precedente (dato il poco tempo a disposizione per plasmare la squadra secondo il proprio credo) De Boer prova a virare verso un calcio con il quale è più in sintonia.

Mentre sotto la precedente gestione tecnica l’Inter si era caratterizzata per un gioco estremamente fisico, fondato sulla ricerca di immediate verticalizzazioni, l’olandese cerca di costruire una Inter più orientata ad un gioco palleggiato, fatto di tanto possesso e di passaggi stretti.

L’idea era quella di costruire palla a terra da dietro attraverso i due centrali difensivi e un centrocampista, il vertice basso del 4-3-3 o uno dei due interni del 4-2-3-1, che però non si abbassava sulla terza linea ma rimane avanzato come vertice alto di un triangolo.

Nello stesso momento, gli esterni bassi si alzavano per dare ampiezza e profondità e per sostenere l’azione degli esterni offensivi tramite sovrapposizioni. Tuttavia, la qualità non eccelsa dei terzini a disposizione di De Boer (Santon, D’Ambrosio e Nagatomo) non era tale da garantire all’Inter quella qualità in palleggio che l’allenatore avrebbe voluto per sviluppare efficacemente la fase offensiva dei nerazzurri.

In generale, nonostante gli sforzi nel costruire quadrati e rombi che facilitino la circolazione della palla, la fluidità di manovra rimase alquanto modesta, anche a causa di errori nel posizionamento del corpo o nell’altezza di campo in cui si sarebbero dovuti trovare i riceventi. Furono in particolare Kondogbia e Medel a risultare in difficoltà nel garantire superiorità posizionale alla squadra.

I rinforzi arrivati a fine mercato (Gabigol e Joao Mario) non risolsero la situazione e anzi lasciarono intendere l’idea che De Boer non avesse avuto niente a che fare con i loro acquisti.

Un ulteriore motivo di preoccupazione tattica, che contribuiva a ingolfare la manovra interista, fu quello derivante dal posizionamento di Banega vale a dire del giocatore che, sulla carta, avrebbe dovuto essere il metronomo della squadra. Utilizzato come vertice basso del 4-3-3 o qualche metro più avanti, l’ex Siviglia ha faticato ad inserirsi nella squadra e nel campionato italiano, facendosi segnalare più per le palle perse che per le giocate decisive.

A queste problematiche si aggiunsero quelle in transizione per una squadra che faticava tremendamente a difendere sulle ripartenze avversarie.

Alla fine, impossibilitato a riproporre il calcio visto ad Amsterdam, De Boer ha virato verso una soluzione più in linea con i giocatori a disposizione, presentando un calcio più verticale, che passava attraverso un elevato utilizzo delle fasce laterali e del cross come arma di rifinitura, simile a quello visto con Mancini.

Tuttavia, nemmeno questo compromesso è bastato a garantire all’olandese dei risultati in linea con le aspettative e così, nonostante una vittoria con la Juve, il suo cammino nerazzurro si interruppe dopo lo stop imposto dalla Sampdoria.

Sampdoria - Inter

Per De Boer fu fatale la trasferta con la Samp.

Conclusasi in malo modo anche l’esperienza di Stefano Pioli, la dirigenza nerazzurra ha finito per affidare le redini della squadra a Luciano Spalletti.

Dopo quasi due stagioni alla guida della squadra possiamo dire che anche il 60enne tecnico di Certaldo si è trovato a dover scendere a compromessi con la sua idea di calcio. Infatti, dopo essere partito cercando di impostare l’Inter intorno ad un sistema fluido che favorisse il controllo della partita tramite il possesso palla, Spalletti è tornato ad un calcio più verticale nel quale le corsie esterne rivestono sempre una grande importanza.

Tutto questo senza però aver del tutto abiurato all’idea originale, la cui traccia rimane nella decisione di schierare un palleggiatore come Brozovic davanti alla difesa per aiutare la fase di costruzione e la presenza di due centrali difensivi come Skriniar e De Vrij che, con le loro avanzate, cercano di sfruttare il possesso per manipolare il sistema difensivo avversario.

Certamente, siamo ancora lontani dal calcio posizionale predicato da De Boer. La sensazione è che, al di là del fatto che la dirigenza non abbia sostenuto a sufficienza chi voleva portare avanti una idea di calcio diversa, la rosa dell’Inter nelle ultime stagioni non sia adatta ad un gioco più palleggiato.

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