Diverse volte, durante una partita dell’Inter di questa prima parte di stagione, mi è venuto un dubbio: ma Ivan Perisic rientra davvero nella categoria degli esseri umani come me o come gli altri 21 che sono con lui in campo? Lo vedi correre avanti e indietro per 90 minuti, recuperare in difesa per coprire i compagni, scattare a ripetizione sulla fascia sinistra e puntare gli avversari, eppure quando quasi tutti gli altri iniziano a sentire la fatica e a boccheggiare lui ha sempre la stessa espressione di inizio partita.
Come se avesse appena finito il riscaldamento e la partita vera dovesse ancora iniziare. Lele Adani lo ha paragonato a un decatleta (“Un giocatore unico in Italia. Può fare 7 o 8 sport diversi, ha qualità e corsa“) ma uno così somiglia più a un androide, un incrocio tra Roy Batty (il replicante del monologo sui bastioni di Orione interpretato da un magistrale Rutger Hauer, a cui dava la caccia Rick Deckard nel primo Blade Runner. Quello che attingeva a piene mani da Philip Dick) e un Terminator. Un fascio di nervi sotto i quali sembra nascondersi un qualche tipo di artificio robotico, che ne potenzia le qualità fisiche.
Anche nelle partite in cui sembra in giornata no Ivan fa sempre un paio di cose che per la gran parte di quelli che giocano a calcio per vivere sono inaccessibili. Contro il Chievo, ad esempio, nel primo tempo ha divorato 80 metri in diagonale per chiudere un avversario che avanzava sul lato di D’Ambrosio, quello opposto al suo. Il gol a Udine dello scorso gennaio, con stacco in terzo tempo e galleggiamento in aria, non somiglia per niente al gol di un esterno d’attacco. Un gesto atletico del genere è roba da Bogdan Bogdanovic o da Dario Saric (quelli che oggi sono di gran lunga i migliori giocatori croati di pallacanestro), o per limitarsi al calcio da un centravanti forte nel gioco aereo.
Aggiungiamoci la capacità di dribblare da ala pura, il totale ambidestrismo (riuscire a capire quale sia il suo piede preferito è impossibile, visto che calcia allo stesso modo sia di destro che di sinistro) e un’accelerazione da centometrista e otteniamo un giocatore che, nell’insieme, sembra arrivato da un futuro prossimo. Perisic queste qualità le ha sempre avute, ma il suo straordinario hardware non aveva ancora trovato qualcuno in grado di “programmarlo” nel modo giusto.
Quella vecchia volpe di Mou ha chiesto alla dirigenza dello United di comprarlo in tutte le lingue che conosce, e a un certo punto anche noi interisti eravamo convinti che Ivan sarebbe stato venduto per far cassa (essendo uno dei pochi vendibili dopo la catastrofica stagione scorsa) e reinvestire il bottino. La sua voglia di volare in Premier, a guadagnare un bel gruzzolo in più e a giocare in una squadra capace di poter lottare per qualsiasi traguardo, era palese. Anche se Ivan per tutto il periodo estivo è rimasto in silenzio, i suoi atteggiamenti e le espressioni parlavano per lui.
Per fortuna nostra (e forse anche sua) è arrivato Mister Spalletti a porre il veto più assoluto sulla sua cessione, convinto che un atleta/calciatore del genere avesse un potenziale inespresso ancora tutto da esplorare. Il risultato della riprogrammazione del croato è lì da vedere.
Quelle poche volte in cui non è decisivo con un gol o con un’assist (e la cosa capita di rado, viste le medie di questo periodo) Ivan fa sentire il suo impatto anche in fase difensiva.
Corre, lotta, segna, dribbla. L’androide ora è finalmente completo.
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