di Michele Tossani
È finita. Come ampiamente previsto (da alcuni media perfino auspicato) l’Inter esonera Frank De Boer a seguito della sconfitta subita dai Nerazzurri in trasferta domenica sera a Marassi contro la Sampdoria. Così, dopo 84 giorni da quel 9 agosto, giorno in cui l’olandese venne scelto per sostituire Mancini sulla panchina interista, l’avventura italiana di De Boer arriva alla fine. Se pensiamo che, dopo 87 giorni in carica, Arrigo Sacchi venne eliminato dall’Espanol in Coppa Uefa, ma confermato da Berlusconi, la differenza con quanto accaduto a FdB è stridente.
A FdB vengono imputate tutta una serie di colpe, fra le quali quelle di un atteggiamento tattico troppo spregiudicato; di una inflessibilità che sfocia nell’integralismo, per non essersi piegato ai “consigli” tecnici arrivati dalle alte sfere (leggasi Ausilio e Zanetti); per aver condotto allenamenti troppo poco intensi, a detta della società; per aver diviso lo spogliatoio creando un forte numero di scontenti.
In verità, alla fine De Boer paga l’inconsistenza della società, incapace di programmare e divisa fra Pechino, Milano e Giakarta come argutamente fatto notare da Tronchetti Provera.
Infatti, al netto delle questioni extra campo (ma in quale spogliatoio coloro che giocano meno sono contenti? Mandzukic è contento di essere diventato la riserva di Higuain? E chi se non la società, ove presente, dovrebbe prendersi cura di gestire queste situazioni? E chi è che definisce poco intense le sedute di allenamento dell’olandese quando l’Inter gioca sempre meglio i secondi 45 minuti rispetto ai primi?) quello che è mancato all’Inter è stato il sostengo ad un progetto di calcio nuovo. Chi ha scelto De Boer (Thohir) non ha forse avuto la lungimiranza o la voglia di capire prima e di sostenere poi la scelta di un certo tipo di calcio di fronte alle naturali difficoltà che questo avrebbe trovato per imporsi in un ambiente come quello italiano da sempre restio ad ogni novità. Restio ed anche un po’ supponente visto che ad oggi ancora molti ritengono che un qualsiasi allenatore italiano sia meglio di uno straniero ancorché plurivincitore di trofei.
Il fallimento di FdB rappresenta il fallimento di un’idea: in un momento in cui, dalla parte opposta della Penisola, si ingaggia un allenatore innovativo come De Zerbi e lo si mette poi in discussione per non essere riuscito in poche settimane ad imporre il suo calcio ad una squadra presa in corsa (come De Boer) o che si sostiene che per divertirsi si debba “andare al circo” (Allegri dixit), vuol dire che non si è capito come nel calcio di oggi la vittoria sia sempre la cosa più importante ma che il modo in cui viene ottenuta ha una rilevanza che non aveva paragoni a queste latitudini anche soltanto dieci o quindici anni fa.
FdB è un tecnico olandese, nel senso che si iscrive appieno in quella scuola tattica. Questo significa essere un po’ zemaniani. E zemaniano sono stati sia il suo approccio che la sua Inter. Il gioco dei Nerazzurri di De Boer era basato su una costante ricerca delle fasce laterali con i terzini trasformati in ali aggiunte. Tuttavia, a differenza del boemo, le ali di FdB giocavano da vere e proprie ali senza tagliare centralmente, al fine di produrre cross al centro dell’area per Icardi e per i centrocampisti a rimorchio. Solo contro la Samp, Candreva e gli altri Nerazzurri hanno prodotto 36 cross, record per una singola squadra in una partita di Serie A. Questo tipo di atteggiamento, che portava anche 7 o 8 uomini oltre la linea della palla ha finito per lasciare da soli Murillo e Miranda a difendere a schema puro, cioè uno contro uno, con gli attaccanti avversari.
A volte l’Inter ha trovato difficoltà a servire Icardi, come accaduto nella partita contro i Blucerchiati ma, in generale, le difficoltà di realizzazione della squadra non sono da imputare tutte a De Boer.
Infatti se è vero che l’Inter ha realizzato soltanto 13 gol in campionato è anche vero che la squadra è quarta per tiri a partita (16.8). Quello che manca è la precisione dei giocatori con appena il 4.5 di media a partita di tiri nello specchio della porta. Sul fatto poi che FdB abbia avuto problemi a dare un’identità precisa alla squadra, questo non è vero. L’impronta dell’allenatore sul gioco era evidente e, indipendentemente dal fatto che questa sia più o meo discutibile quello che non è opinabile è la necessità che ad un allenatore venga dato del tempo sufficiente per far digerire alla squadra i suoi dettami tattici. Trovare la posizione giusta a Banega in un centrocampo che contempli anche Joao Mario non è infatti facile. Pensare che questo non richieda tempo è incredibile. Ritenere che lo si possa fare in tre mesi con un gruppo nuovo e in parte abituato a un calcio disorganizzato come quello della gestione precedente è invece utopistico.
Creare poi una rosa di 29 giocatori ai quali viene fatto credere di essere tutti titolari è poi un altro modo per mettere in difficoltà la guida tecnica. Non essere riusciti a epurare gli esuberi come Felipe Melo o a far capire ai buoni giocatori di non essere ancora dei campioni (Kondogbia) è colpa da attribuirsi alla società. Così come è da addebitare al club la decisione di puntare su un allenatore che predilige il gioco sulle fasce con sovrapposizioni costanti dei terzini ed avergli poi affidato esterni difensivi come D’Ambrosio, Santon o Nagatomo.
Certo, i numeri non sono entusiasmanti con 5 vittorie, 7 sconfitte e 2 pareggi in 14 partite ufficiali. Ma mandando via FdB si è commesso lo stesso errore fatto a suo tempo con Gasperini, cioè quello di mandare via un allenatore prima ancora di dargli il tempo di provare a imporre il suo calcio, forse perché alla fine non si è mai creduto in lui fino in fondo o non lo si conosceva del tutto. E allora perché ingaggiarlo?
Sono perlomeno 28 anni, su 28 che ne ho, che sento che il problema di questa squadra è la dirigenza. Lo è stata perfino negli anni di Mourinho, che hanno lasciato da solo a gestire la grana Balotelli. E non è servito neanche cambiare presidenza, due volte.
Mi scervello a cercare di capire cosa realmente non si riesce a comprendere, a distanza di decenni, che ancora non funziona.
Ho letto ora che questo sito sottotitola: cose dell’Inter che racconteremo ai nostri nipoti. Anche no, Dio mio, anche no.
unico appunto: Gasperini era un allenatore da “provinciali” (la carriera lo dimostra) e nulla aveva a che spartire con noi, FdB ha un palmares come giocatore e come allenatore un filino più profondo. E comunque, a differenza di Gasp, qualcosa aveva fatto vedere, basti riguardarsi la partita contro il Torino.
Ottima disamina tecnica. Rimane solo un interrogativo: e ti sembra un bel calcio e per di più innovativo?
Amen. Perfetto.