Quello tra i calciatori e la beneficenza è, per dirla alla Facebook, un rapporto complicato. Ci sono esempi (non tantissimi) più o meno clamorosi – dall’apertura diretta del portafoglio fino alla gestione di progetti ad hoc o fondazioni – che si perdono in un mare magnum di generica e giovanile indifferenza: l’argomento è complicato, si presta al populismo e non si può nemmeno pretendere che le sorti del mondo dipendano dalla propensione alla bontà dei campioni dello sport, ma l’immagine media del calciatore e del suo conto corrente a sei-sette zeri è più legata al macchinone, alla figa, all’attico, al privée e al braccio stratatuato che non al fin di bene, ordinario o patinato che sia.
Poi ti arriva tra capo e collo una bella storia da Norcia – una storia reale, di sofferenza vera, di gente normale, di generosità senza effetti speciali – e ne apprezzi la concretezza, la semplicità di tirare una riga tra due punti e unirli.
Norcia fino all’anno scorso era una città ricca di monumenti e anche di calcio, una delle più classiche sedi di ritiro estivo del centro Italia. Poi arrivano i terremoti del 2016 e cambia tutto: il 24 agosto il paese trema e si inginocchia, ancora di più il 26 ottobre (quando crolla gran parte della chiesa di San Salvatore) e il 30 ottobre, il tragico giorno del colpo di grazia, una spaventosa scossa di magnitudo 6,5 alle 7,41 del mattino: il sisma cancella la secolare storia di Norcia, crollano la basilica di San Benedetto e il suo campanile settecentesco, crollano le chiese di Santa Maria Argentea, di Sant’Agostino, di Santa Rita e San Francesco, della Madonna Addolorata; cedono porzioni delle mura e dei torrioni medievali, il Palazzo Comunale, la Castellina. Norcia, quella Norcia, non c’è più.
Sei mesi dopo, è un lunedì di maggio, Antonio Candreva nel suo giorno di riposo lascia Milano e va in visita alla zona di Norcia per incontrare i ragazzi delle scuole. Norcia la conosce bene, ci è stato in ritiro con la Ternana e con la Lazio. La mattina la trascorre nel capoluogo, poi si sposta nella frazione di Ancarano dove pranza con i bambini e con la piccola comunità sfollata dopo il sisma. Un incontro che deve essergli rimasto nel cuore perchè Candreva decide di dare il suo contributo alla ricostruzione regalando ai bambini di Ancarano un campo da calcio. La struttura sportiva sorgerà nell’ambito del progetto «Casa Ancarano» che funzionerà come ricovero, mensa e servizi e sarà realizzata grazie alle donazioni di alcuni privati. Il campo sarà inaugurato a maggio 2018, un anno dopo l’incontro con i terremotati. Candreva, ovviamente, taglierà il nastro.
Tra il calciatore Candreva e il suo gesto di generosità c’è molta coerenza. Candreva è un giocatore che sorride poco e suda molto. Talentuoso e sgusciante, è pur sempre un operaio, umanamente l’antitesi del mondano. Come Bartali, ha il naso triste come una salita. E l’occhio malinconico. Gli puoi rimproverare qualche soluzione pretenziosa e qualche cross sbilenco, ma non l’impegno. Un impegno che va al di là dell’ordinario e che nei momenti di scarsa vena lo porta a peggiorare la sua situazione, a prendersi qualche fischio di troppo, perchè è uno che non si nasconde, che insiste, anche nei cross sbilenchi, costi quel che costi. Ci mette la faccia.
Ha fatto un bel gesto, straordinario, significativo, senza fronzoli. Il calciatore regala un campo di calcio. Il ragazzo triste regala un sorriso. Complimenti Antonio, è proprio da questi assist che si giudica un giocatore.
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