Che l’Internazionale (Socialista) perdoni la mia infamia. Perché compio un abominio. Scomodo Antonio Gramsci. Come un Diego Fusaro qualsiasi.
Ne prendo in prestito una frase, masticata nel corso di un secolo di storia e diventata motto, slogan, molto spesso aria (come in questo caso).
La frase è questa: il pessimismo dell’intelligenza, l’ottimismo della volontà.
E poco importa se il fondatore de L’Unità, nel 1920, scrivendo dalle colonne de L’Ordine nuovo, la utilizzava per mettere in relazione una diversa concezione del socialismo nel processo rivoluzionario.
In epoca di nuovi barbari, questa roba vecchia e demodé la prendo in prestito per spiegare il dubbio che mi stava tirando a fondo martedì sera. Prima del minuto 86.
“Penso in ogni circostanza, alla ipotesi peggiore….”. Il pessimismo dell’intelligenza
Il dubbio era questo: “Ma non è che, in fondo, nonostante la strombazzata campagna acquisti, siamo più scarsi dello scorso anno?”.
Lo pensavo dal secondo anello rosso, dopo cinque ore di auto, trenta minuti di bestemmie del mio dirimpettaio di Modena, una coca a sei euro calda come l’olio motore, un gol ad minchiam di Eriksen e lo spettro della terza probabile sconfitta in cinque incontri ufficiali.
Lo scorso 20 maggio, questa era la base del ragionamento, quando la prese Vecino, ci presentammo a Roma con questa formazione:
Handanovic; Cancelo, Skriniar, Miranda, D’Ambrosio; Vecino, Brozovic; Candreva, Rafinha, Perisic; Icardi.
Chi eravamo?
Una squadra che alternava fasi di gioco eccellenti, a lunghissime narcolessie atletiche e tattiche, molto possesso palla inutile, intervallato da sprazzi di totale follia agonistica.
Quali erano i nostri punti qualificanti?
Avevamo scoperto un laterale destro con i contro cazzi (uno che impostava, crossava, saltava l’uomo, e, udite udite, difendeva grazie alle indicazioni di mastro Luciano); davanti avevamo uno che l’infilava anche a occhi chiusi (non sempre, ma spesso); avevamo resuscitato dal Barcellona un creatore di gioco. Non potente ma con molta tecnica e tanta fame; avevamo trovato, dopo tanto incedere, un moderatore di gioco (non voglio chiamarlo regista), uno che negli anni precedenti non si era mai visto; in difesa c’era Superman senza mantello; a sinistra, nella prima parte del campionato come nell’ultima, un rullo devastante. Una mietitrebbia.
Pensavo: “Che rimane di tutto ciò. Poco, se non niente”.
Fino al minuto 86.
“….per mettere in movimento tutte le riserve di volontà ed essere in grado di abbattere l’ostacolo”. L’ottimismo della volontà.
Fino a quando un vecchio mestierante della Serie A, Kwadwo Asamoah, preso a zero euro, è sceso in fascia, ha alzato la testa, e l’ha appoggiata docile e pulita. Con il suo piede naturale: il sinistro.
Il gesto di Icardi è stato incredibile, nessuno lo discute, ma lo ha fatto perché la palla è arrivata lì, dove è lui. Non più avanti né più indietro.
E, allora, ho iniziato a pensare che forse qualcosa in più rispetto allo scorso anno avevamo.
E quel qualcosa in più era proprio Asamoah.
E cioè l’esempio calzante, riprendendo Gramsci, di come “poter mettere in movimento tutte le riserve di volontà ed essere in grado di abbattere l’ostacolo”. Di come, al pessimismo dell’intelligenza si poteva, si può contrapporre l’ottimismo della volontà. Quello di un operaio del pallone.
Asamoah è quello che ci mancava. Per la prima volta, in tanti anni a sinistra abbiamo uno vero. Non esplosivo e funambolico, ma solido, costruito, intelligente. Uno che ha tempra.
Poi, il resto, tutto quello che avevamo (Perisic stellare, Icardi infallibile, i cross dalla fascia destra), arriverà. Basta avere un po’ di pazienza. E di condizione fisica.
E avremo anche di più. Avremo il vero Nainggolan, non quello a mezzo servizio visto fin qui, la corsa di Vrsaljko, la forza di Lautaro ai box, l’intelligenza di Politano, la freschezza di Keita.
Arriveranno tutti.
Tutto questo pensavo ieri sera dopo aver visto il cross di Kwadwo Asamoah.
Lo sosteneva Gramsci. La volontà abbatte il pessimismo.
Poi, naturalmente, l’ha ripresa Vecino. E non ho pensato più a nulla.
Personalmente credo che, nel complesso, siamo migliorati, siamo più profondi e abbiamo più soluzioni tra cui scegliere.
Abbiamo più potenziali marcatori, ma ci manca qualcuno che li sappia servire con qualità negli ultimi 30 metri, esattamente ciò che erano per noi Rafinha e (soprattutto) Cancelo la scorsa stagione.
Il Ninja non è quel quel tipo di giocatore, Keita, Vrsaljko e Martinez neppure, l’unico forse è Politano ma non ne sono sicurissimo.
Mi piace pensare che con il crescere della condizione e dell’affiatamento le cose migliorino, ma ho la sensazione che sia un “difetto” strutturale e che per rendere avremo bisogno di essere fisicamente in condizione e che continueremo a faticare tremendamente con le squadre che si chiudono.
il non aver preso un upgrade a centrocampo da affiancare a Brozovic rimane forse l’unico neo della campagna acquisti.