Fredy in the sky with diamonds (dichiarazione d’amore a Fredy Guarin, l’ultimo romantico)

La rincorsa era perfetta, passi lunghi e poi più corti appena prima dell’impatto, la gamba d’appoggio ben salda per reggere il pendolo dell’altra, il contatto con il pallone nel punto giusto, il collo del piede fermo e la caviglia rigida. Una preparazione meticolosa e corretta per scaricare quella muscolatura fenomenale a terra, sulla sfera da scagliare lontano e se possibile in porta. Solo che raramente le cose andavano per il verso giusto e per una qualche misteriosa deviazione dal percorso, un’anomalia della fisica, quasi tutti i tiri di Fredy Guarin finivano alti, alcuni altissimi e una sparuta minoranza di quelli altissimi anche al secondo anello.

Ho amato Fredy Guarin fin dal suo esordio in maglia nerazzurra, ricambiato. Non io come singolo ma tutti noi come tifosi interisti, perché pochi giocatori del post triplete hanno sentito il peso della maglia e l’orgoglio di indossarla come El Guaro de la gente, come lui ama essere chiamato. Non c’è giorno che dal suo ricchissimo esilio cinese Fredy non spedisca testimonianze di un amore struggente, foto e post nostalgici, ricordi di stagioni non vincenti ma per lui fondamentali.

Lo volevano tutti quando nel gennaio del 2012 è arrivato all’Inter in prestito (per essere poi riscattato a fine stagione). Destro ma capace di colpire bene anche con il piede debole, un fisico statuario e una progressione formidabile, quella che in Italia mostrerà di rado a causa del gioco tattico e muscolare, quella che però sfoggerà allo Juventus Stadium in una delle sue serate migliori (la notte del 3 a 1 con Stramaccioni in panchina). Il Guaro è un buono con il fisico da pugile, generoso e pasticcione, prigioniero di un equivoco che forse avrebbe richiesto un po’ di lavoro in più per trovare la quadratura (Fredy Guarin aveva caratteristiche molto simili a quelle di Nainggolan, purtroppo con un carattere molto diverso, meno aggressivo).

I suoi 4 anni (sommando le due mezze stagioni dell’arrivo e della cessione), sono stati quelli della fine di un ciclo (societario, tecnico e umano), e dell’inizio di qualcosa che ancora non aveva forma. Il Guaro ha corso tanto, tirato troppo, inciso poco ma ha comunque lasciato qualcosa di se e se n’è andato senza alcuna voglia di farlo. Acclamato a volte, reclamato quando stava per essere ceduto alla Juventus in cambio di un Vucinic in prepensionamento, fischiato per aver messo la faccia e i nervi in alcune giornate oscure (una su tutte quella dell’episodio raccontato nell’autobiografia di Icardi), Guarin ha amato l’Inter con un entusiasmo quasi infantile e per questo bellissimo. Come lo so?

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Ho incontrato Fredy, l’ho conosciuto e intervistato nella primavera del 2014. Lì ho scoperto che l’Inter aveva trovato un tesoro e che avrebbe dovuto tutelarlo e farlo rendere al meglio. Simpatico, sincero e disponibile. Una vera rarità. Mi manca Fredy Guarin, manca a tutti noi. La grinta intermittente, le giocate funamboliche e quei tiri assurdi che toccava seguirli fino in cielo, parabole sbagliate come diamanti imperfetti. Ogni volta che posta una sua foto in maglia nerazzurra verrebbe da riportarlo indietro, anche ora che ha 32 anni e il soggiorno cinese lo ha imbolsito e allontanato dai ritmi del calcio vero. Non si può e sarebbe fargli un torto, con la valigia di milioni che guadagna laggiù. Ma pensarlo con affetto e nostalgia sì, quello si può fare.

Fredy e i suoi tiri, in the sky with diamonds.

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