“È stato un anno importante, con questo terzo posto abbiamo gettato le basi per un grande futuro”, intervista a Frank de Boer sulla sua prima stagione nerazzurra

Frank de Boer è un uomo soddisfatto, i soliti modi posati e sobri non riescono a mascherare la felicità per quella che a tutti gli effetti è una piccola impresa. Partito con l’affanno di chi sale in corsa, osteggiato dalla critica e non sempre seguito da una parte della squadra (quella stessa che è costata il posto ad altri buoni allenatori prima di lui), l’olandese è riuscito a convincere società e tifosi che la strada del gioco e della programmazione è praticabile anche quando le aspettative sono alte e la tensione eccessiva. Il terzo posto non garantisce l’accesso alla Champions League ma la vittoria in Coppa Italia è un primo passo verso quella guarigione lungamente attesa e invocata fin dal 2011.

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Ha mai pensato di gettare la spugna, di non farcela? 
Confesso che è capitato. Più che altro non riuscivo a capacitarmi di tanta ferocia e di tutti quei pregiudizi. Sono un allenatore giovane ma ho una lunga esperienza internazionale come giocatore e confesso che una cosa del genere non l’avevo mai vista. Come se fosse un intero sistema a reagire, come se fosse qualcosa di personale. Confesso di esserci restato male.

A chi si è aggrappato in quei giorni? 
Alla mia famiglia e alla società. È stata una vera sorpresa scoprire persone così professionali ma allo stesso tempo capaci di essere leali, di un continuo slancio umano. Non so in quante altre squadre mi sarebbe stata confermata la fiducia dopo una sconfitta sconfortante come quella contro la Sampdoria. Eppure sono stati di parola, hanno convocato una conferenza stampa per ribadire il sostegno della società e così è stato.

Cos’è mancato nelle prime giornate? 
L’esperienza e la conoscenza del gruppo. Il calcio italiano è duro e speculativo, si giocano partite di scacchi e tutti gli allenatori sono preparati a imbrigliare l’avversario. Ho ereditato una squadra demotivata e confusa e in principio ho pensato che sbilanciarla offensivamente fosse una soluzione. Non ha pagato e allora grazie ai correttivi studiati con i ragazzi abbiamo trovato una formula. Non è un caso che la nostra partita migliore del girone di andata sia arrivata contro la Juventus. Giocare contro squadre propositive aiuta, anche solo a gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Quanto è stato importante il mercato di riparazione? 
Non amo parlare male dei giocatori che alleno o ho allenato. Diciamo che più che per gli acquisti nelle zone più fragili della nostra manovra, gennaio è stato cruciale per lo sfoltimento di una rosa costruita all’accumulo. Troppi giocatori con caratteristiche simili, una competizione interna malsana e l’abitudine sbagliata di considerare l’allenatore un ostacolo aggirabile. Non amo punire platealmente i miei giocatori, è una sconfitta per tutti, ma quest’anno è stato fondamentale.

Il terzo posto era il traguardo minimo per questa stagione. Si sente appagato? 
Il mio risultato non era un piazzamento. Il mio obiettivo era ed è giocare un calcio intelligente. Occupare gli spazi e costruire un predominio che nelle due fasi sfrutti la stessa arma: il possesso palla. Amo le squadre lunghe e la velocità nelle ripartenze. Mi sono molto divertito ascoltare quel giornalista, quello molto popolare per le sue telecronache, dire che pretendevo di insegnare calcio agli italiani. Il mio non è calcio olandese, studio e lavoro per prendere il meglio di tutto quel che ho visto, da giocatore e da tecnico. Il contropiede può essere disorganizzato o perfettamente organizzato, ordinato e lucido. Questo non lo voglio insegnare io.

Questa squadra può già competere in Europa o ha bisogno di grandi acquisti? 
Al di là degli acquisti, quello che ho voluto fosse chiaro da subito con i miei giocatori è che l’esperienza internazionale si accumula solo affrontando con serietà ogni partita di ogni competizione. Per questo sono felice del nostro cammino in Europa League. Siamo usciti in semifinale dopo un inizio di torneo da incubo. Oltre a rischiare di perdere dignità e faccia, oltre al blasone di una squadra come l’Inter messo in crisi da squadre davvero minori, ero preoccupato dalla mollezza e dalla superficialità con cui alcune sconfitte venivano catalogate e messe in cantina. Perdere si può perdere, ma deve essere parte di un percorso formativo. quest’anno abbiamo giocato partite, in Italia e in Europa, in cui il risultato ci ha penalizzato nonostante una mole impressionante di gioco e occasioni. Perdere come stavamo facendo in Europa League no, quello non va bene.

Rifarebbe questa scelta, salirebbe di nuovo su una macchina che sbanda pericolosamente per portarla fino al traguardo? 
A costo di ripetermi rispondo sì e aggiungo che la società, i tifosi e i giocatori mi hanno coperto d’amore e dimostrazioni di stima. Mi son sentito orgoglioso di allenare l’Inter. Ma non abbiamo ancora fatto nulla, siamo un cantiere aperto. Solo che abbiamo un gioco, sappiamo quali giocatori servono per il nostro sistema e abbiamo obiettivi chiari. Quindi sì, lo rifarei mille volte.

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