Alla fine della salita respira e goditi il paesaggio (Andrea Ranocchia, l’amico gentile)

È lunga la salita Andrea. Piena di curve che non ti aspetti, di strappi e di fatica. Sembrava tutto semplice prima che iniziasse, prima che cambiasse il panorama. Tu insieme a due campioni e quell’altro in una squadra mediocre a sparar palloni qua e là con i compagni che lo guardano e si chiedono il perché. Perché Bonucci pensa di essere Beckenbauer e Baresi in un corpo solo? Poi è cambiata la pendenza e il campo è diventato un piano inclinato su cui non sei riuscito a rimanere in equilibrio. A quello arrivano in squadra Pirlo, Vidal e Pogba, il centrocampo si sistema e i lanci sbilenchi e senza destinatario d’improvviso diventano opere d’arte, nasce il Bonucci fenomeno, il regista difensivo che tutto il mondo c’invidia.

Tu nel frattempo perdi Motta e Cambiasso e come per magia (vodoo), ti ritrovi con Mudingayi, Taider, Gargano e Medel a far legna davanti alla difesa e nessuno a tenere il pallone. Sbagli, poi sbagli e sbagli ancora e non basta la fascia da Capitano a farti sentire meglio, a renderti più sicuro dei mezzi che hai (perché li hai eccome Andrea). Anzi, quella fascia pesa come un macigno e ti trascina sul fondo. Contestazioni, gente adulta che allo stadio t’insulta come fossi un nemico, le vene del collo gonfie e il colorito paonazzo di chi a casa accumula tutta la rabbia che poi scarica su di te, spilungone gentile con lo sguardo un po’ perso e la sfida colossale di essere un buono, di sembrare quello che sei. Anche io ti ho detestato, Andrea. Un vecchio tweet in cui chiedevo che ti mandassero via, ovunque ma non con la nostra maglia. Il tifo cancella ogni ombra di umanità, di tanto in tanto. Mi sono scusato, qui.

Prima la Sampdoria, poi l’Hull, poi si torna a casa perché Ranocchia non lo riscatta nessuno, costa troppo e non vale quell’investimento. Intanto Bonucci vince scudetti, esulta cerchiandosi la faccia, lo vogliono tutti. È lunga la salita Andrea, sembra non finire mai. Poi però arriva Spalletti e inizia a difenderti dal primo giorno di ritiro, quando aggredisce un tifoso che ti insulta. Sembra essere cambiato il clima e tu ci riprovi. Umile, in silenzio, con tutto l’amore che metti in ogni capocciata, in ogni scivolata che un tempo ricordava quelle di Nesta e ora invece ci teniamo tutti stretti ai seggiolini sperando che non sia un fallo, che non ci costi cara. Bonucci è andato al Milan e d’improvviso sembra che il mondo giri al contrario o che almeno abbia ripreso il suo verso. Nei primi mesi lui fa errori su errori, sembra Ranocchia. Tu resti in panchina, aspetti che venga il tuo tempo mentre Skriniar offre champagne e meraviglie e si prende la scena.

Poi tocca a te. Non sono rose e fiori Andrea, ma tutti capiamo che in salita serve una mano, ci mettiamo a spingere e quelli che erano fischi diventano applausi. Sei sfigato vecchio mio, maledettamente sfigato perché solo a te può capitare l’autogol di Genova, quella carambola infernale, la pallonata di Skriniar (lui quoque), che ti batte fortissimo sul parastinchi ed entra in porta. Saremo stramazzati tutti in terra, ci saremmo arresi. Va bene Mudingayi, Bonucci padre della Patria, l’Hull City, va bene tutto ma quell’autogol è stato uno scherzo del destino troppo crudele, la sintesi di una carriera disgraziata, mai una botta di culo che fosse una.

Tu non sei stramazzato in terra, Andrea Ranocchia. Hai sorriso, il sorriso amaro di chi sa che la vita a volte può diventare un calvario (un piccolo calvario, si parla di calcio), e hai ricominciato. Partita dopo partita, pronto quando serviva. Fino a ieri sera, fino all’ingresso in campo che più meno consapevolmente ha riportato l’Inter in Champions League, quella da cui era uscita al tempo della tua adolescenza nerazzurra. Ce l’abbiamo fatta, ce l’hai fatta e allora sì che sei caduta in terra, felice, commosso. Dice: sì, ma non avete vinto una mazza, era lo spareggio per il quarto posto. Certo, ma vuoi mettere dopo una salita del genere cosa può significare guardarsi intorno e sentire che nessuno ti accusa di errori, sconfitte, stipendi eccessivi e che anzi tutti ti abbracciano e festeggiano? Vuoi mettere averla vinta con te in campo e non persa per colpa tua?

A 30 anni, finalmente, ti sei preso il lusso di correre verso la telecamera e urlare la tua gioia. Un urlo gentile, non il ruggito del leone, la voce di uno che ne ha passate di tutti i colori e che finalmente può lasciarsi andare un po’, senza paura di quel che dirà la gente.  Buona giornata Andrea, resta ancora lì in terra e respira, il tempo è stato galantuomo.

One thought on “Alla fine della salita respira e goditi il paesaggio (Andrea Ranocchia, l’amico gentile)

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  1. Solo rispetto per Te Ranocchia…anche io sono di quelli che ti ha offeso….meriterei che tu insultassi me…quanto io ho offeso Te…quest’anno hai dato una lezione a tutti…Tu la CL l’hai già giocata e quel salvataggio sulla linea a Monaco sul palo era stato il tuo biglietto da visita…Scusami ancora..a volte per troppo amore (per l’Inter!!!) si può sbagliare, come purtroppo succedeva a Te in campo…

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