Il gioco del calcio è organizzato secondo regole e calendari. Le regole sono abbastanza flessibili, anche se non dovrebbe andare così, i calendari no. Certo ci sono i rinvii causa maltempo e quelli obbligati dalla concomitanza di partite internazionali, ma in genere se il sorteggio dice che devi affrontare la tal squadra in una tal giornata, quello è. Chiariamo fin da subito che contro il Napoli tocca giocare e che questo è il sabato in cui succederà. Non si sfugge. Perché ci preoccupa tanto la trasferta di Napoli? Semplice. Mai come questa volta siamo stati consapevoli di affrontare la squadra migliore del campionato nel suo momento migliore. Il Napoli vive un allineamento di astri perfetto, la congiuntura tra qualità assoluta del gioco e autostima, quella consapevolezza che in passato ha invece spesso fregato Sarri e i suoi.
Il Napoli gioca un calcio intelligente, riempie gli spazi dopo averli sezionati con precisione chirurgica, applica la geometria al gioco e poi la butta all’aria accelerando e affidandosi all’estro e al talento dei suoi. Sarri dispone i suoi giocatori in campo con uno schema che può variare elasticamente a seconda delle situazioni di gioco, un 4-3-3 che impone agli avversari ritmo indiavolato e pressing, un modulo che soffoca le fonti di gioco altrui nella fase di non possesso e ribalta il campo alla velocità della luce in quella di possesso. Per giocare così serve consapevolezza e grande dedizione ma soprattutto è necessaria la vocazione al sacrificio di tutta la squadra. Il Napoli corre, ma corre di brutto. Per arrivare a esprimere una qualità del genere ci sono voluti due anni e qualcosa, un cammino lento e irto di ostacoli, dal carattere indomabile e bellicoso di ADL, presidente passionale, al sacrificio sul mercato di giocatori teoricamente insostituibili come Higuain. Eppure il Napoli funziona perché sa pianificare e valorizzare i suoi investimenti. Con un budget parecchio inferiore a quello della Juventus, il Napoli in questo momento è la sua unica vera rivale, l’unica squadra che seriamente si candida alla successione.
Dall’altra parte ci siamo noi. Convalescenti dopo una malattia lunga sette anni (l’incapacità di riprenderci dalla sbornia del 2010), frastornati da tre cambi di proprietà in quattro anni, confusi da una tonnara di allenatori che solo ora sembra essersi arrestata, in presenza di un navigatore capace e determinato come Luciano Spalletti. Come giochiamo? Male, a sentire gli altri e anche molti degli interisti che non si rassegnano a una buona stagione e cercano elementi di crisi dietro a ogni angolo, sotto ogni tappeto. Come giochiamo davvero, al netto di tifo e luoghi comuni? Sempre meglio, abbiamo una buona organizzazione difensiva e un centrocampo lento ma muscolare che protegge la linea. Davanti ci affidiamo all’estro di due esterni di qualità assoluta e stiamo imparando a coinvolgere nella manovra uno dei migliori centravanti della sua generazione. Al di là del dato numerico (22 punti in 8 partite e una difesa ermetica), stiamo crescendo nel modo giusto, al ritmo giusto.
Il culo, la manomissione della VAR e la tirchieria di Suning son cose che vanno bene per i fan delle scie chimiche e del calcio orrendo dei complotti e delle dietrologie. L’Inter è una squadra in crescita, sta cercando un’identità attraverso il gioco e sta tentando nell’impresa di non disperdere il patrimonio del proprio parco giocatori, di non far perdere valore a cartellini pagati molto e deprezzati nel tempo. Possibile vincere subito? No, se anche il calcio non è una scienza esatta è vero però che tutti i Leicester del mondo son finiti a Leicester (ovvio che l’Inter abbia blasone a ambizioni diverse, qui usiamo l’esempio per rappresentare vittorie ampiamente impreviste), e la Juventus di Antonio Conte sfruttò una carambola di suicidi agonistici che non è ripetibile (il Milan incapace di ripetersi, la Roma distratta, l’Inter in rapido declino e un Napoli in costruzione). Chiedere a Spalletti di vincere subito sarebbe ingiusto e molto stupido.
Cosa possiamo e dobbiamo aspettarci da Napoli – Inter. Il worst case scenario, che è anche un po’ quello per cui tifano tutti in non interisti e la maggior parte degli interisti disfattisti, è quello di una sconfitta umiliante nel risultato e nel gioco. Se il Napoli pressa e si prende il centrocampo diventa davvero complicata. Ma nessuna squadra è perfetta, nemmeno quelle che lo sembrano e il Napoli ha due piccole fragilità che Guardiola ha messo a nudo e che non saranno sfuggite a uno come Spalletti. I terzini se attaccati soffrono e c’è una inconfessabile debolezza e confusione sulle palle alte che piovono dalle parti di Reina. Non è molto ma guarda caso si combina perfettamente con le nostre virtù. Soffriremo? Molto. È una partita determinante? No, non lo sarebbe nemmeno nel caso di sconfitta pesante anche se farebbe male a quell’autostima di cui si parlava all’inizio, quella che il Napoli ha trasformato in un valore identitario, la capacità di giocare sempre secondo le regole del proprio calcio, quale che sia il contesto e il risultato. A fine ottobre l’Inter è al secondo posto, a metà maggio il desiderio confessato e non proibito è che stia tra le prime quattro e si qualifichi per la Champions, un salto di qualità necessario per approcciare qualsiasi altro discorso su futuro e vittorie.
Esiste una squadra peggiore del Napoli per questo nostro momento? No. Esiste una squadra migliore del Napoli per questo nostro momento? No. Andiamo a giocarcela, curiosi di vedere cosa capita, che poi è già una piccola vittoria e un enorme valore. Aver riportato gli interisti allo stadio è stato il primo passo, rigenerare la curiosità di quelli stanchi e delusi il secondo, per l’entusiasmo c’è tempo. Un passo alla volta, vedi Napoli e poi vedi (cosa succede).
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