Fine primo tempo del derby.
C’è qualcosa che non mi torna. Ok, stiamo giocando male, i ragazzi sembrano poco motivati, ma non riesco a capire perché stiamo perdendo. E soprattutto non riesco a credere che la partita sia destinata a scivolare via così. Apro Whatsapp e leggo sfiducia: “ci stanno massacrando“, “Pioli l’ha preparata bene, Conte no“, “Giochiamo male“, e così via.
Bevo un sorso di birra. Mi autoconvinco che non la possiamo perdere, che rimonteremo. “Finisce 2 a 2“, scrivo nella chat. “Fidatevi“.
Il resto lo sapete. Il tiro al volo senza senso di Brozovic che riapre la partita. Il taglio di Sanchez che mi ha impedito di esultare. Andava così veloce che ho pensato che il guardalinee non abbia alzato la bandierina solo per dovere di protocollo e che presto sarebbe arrivata la comunicazione del Var a farci ritornare l’urlo in gola. Urlo che, per evitare delusioni, non ho mai emesso. L’avvitamento di De Vrij (lì sì, che ho urlato), l’estasi di quel palo al 90′ e del capovolgimento di fronte che permette a Lukaku di chiudere la partita. Montagne russe il giorno dopo Sanremo, non so se sono pronto.
Una partita che ci consegna qualcosa di molto più importante del primo posto e del primato cittadino.
Lo confesso, ho avuto paura di perderla, per la cabala. Perché prima o poi un derby il Milan deve vincerlo di nuovo, ed ho avuto seriamente timore che quel giorno fosse arrivato. Poi c’è questa cosa molto romantica che ci piace far esultare gli ex e poi batterli. Era successo con Ronaldo, ieri con Ibra. Ma anche a questo ci siamo abituati. È stata una partita bellissima, perché certe rimonte sono meravigliose quando arrivano proprio in quel momento del campionato in cui devono arrivare.
Ed è per questo che non mi interessa più di tanto celebrare la partita di ieri, ma il futuro. Rispetto ad un girone fa abbiamo due esterni in più: uno perfettamente integrato – Ashley sembra che giochi con noi da tre anni – e uno che ieri si è preso anche la soddisfazione dell’assist. Un Sanchez che non sarà quello di 5 stagioni fa, ma ha talento puro ed è lucidissimo nelle scelte. Ora che il gioco si fa duro, è un’alternativa importante a Lukaku e Lautaro. Una alternativa DENTRO il progetto. Un Vecino ritrovato, liberato dalle voci di mercato e tornato a far parte dei possibili titolari (ora c’è da recuperare Sensi). Sopratutto c’è la ciliegina sulla torta. Un Eriksen che fa capire che può essere l’uomo che la Juventus non ha trovato né in Ramsey, né in Rabiot.
E la consapevolezza che noi, in questa lotta a tre, ci stiamo benissimo. Perché per una volta arrivano spiragli di dissapori da Torino, mentre il derby di ieri ha confermato che di Antonio Conte conviene proprio fidarsi. O se proprio non ce la facciamo a fidarci, per una volta che siamo lì, vale la pena fare finta di stare dalla sua parte. Possiamo riuscirci. Perché lui, il mister, nella bagarre si esalta e già domenica, a Roma, si riprende a lottare contro l’avversario più in forma del momento.
E non ci provate nemmeno a chiedere di soffrire di meno. Ci aspettano le montagne russe da qui a maggio. Chi le regge vince, – e ad occhio dovremmo averci fatto l’abitudine – chi ha le vertigini cade.
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