Non si ricorda mai solo un risultato. Tanto meno in un derby.
Ma i ricordi sono pennellate, disordinate.
Tratti, momenti.
Poi metti le cose in fila e tutto torna.
Tutto torna.
Per non dimenticarsene più.
Lo scatto di Sanchez, l’incrocio delle linee, il tempismo, la visione.
La punizione, la traversa, il boato.
Candreva, dietro la porta.
Lo strappo in velocità di Barella. E un altro. E un altro ancora.
Il primo tempo.
La confusione.
Il mea culpa di Conte alla fine: c’erano stati errori. Anche suoi.
L’esultanza di Brozovic, un pugno alla ruggine, un calcio alla porta dell’inferno.
La sponda di Lukaku, con un avversario perennemente appeso al collo o abbracciato alla schiena.
La patch sul braccio, pensiero delicato.
Il passo di Eriksen, il trotto di Eriksen, il galoppo di Eriksen: purosangue.
I messaggi gobbi ricevuti dopo il primo tempo.
I messaggi mai arrivati a fine partita.
Lo sguardo di De Vrij, il sorriso di De Vrij, l’eleganza di De Vrij, ma quanto è forte De Vrij…
Il presidente infreddolito nella sciarpa a fine primo tempo.
Il presidente accalorato a fine secondo tempo.
L’ex-presidente il giorno dopo.
Il ritorno di Vecino, il profumo di garra charrua, quel tiro che passa sugli zebedei prima di insaccarsi.
C’è solo l’Inter, tutti assieme.
Gli amici della colazione al bar il lunedì mattina.
Il volto di Ibra, uscendo.
E quello di Lukaku.
Il cross di Moses, disegnato nel destino prima ancora che nella pensiero. Poi nel piede. Poi sulla testa. Poi nella storia.
La bandierina neroazzurra issata dal conquistatore.
I messaggi in chat.
Il tabellone.
Il cielo.
Lo sfondo d’oro delle stelle.
Noi.
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