Les incompétents: rivedere Jeremie Brechet in Henrique Chagas Estevão detto Dalbert

Jérémie Brechet è uno di quei giocatori di cui persino Google ha poca memoria. Se scrivete il suo nome nella barra di ricerca vi appariranno, nell’ordine: un locale di Milano, un dj di musica techno, un film francese con una trama del cazzo (come spesso accade nei film francesi) e che non parla di un terzino sinistro dell’Inter. Jérémie Brechet è stato uno dei nostri più grandi incubi. Ma attenzione, perché qui arriva il coup de théâtre – abbiate pazienza ma questo pezzo conterrà molte citazioni, ci piace darci un dono -, non perché fosse un brocco, un giocatore inguardabile, un bidone colossale. Semplicemente perché non si è mai capito che tipo di giocatore fosse, Jérémie. Impossibile dimenticare Gresko e l’immagine di quel ragazzo spaesato che sembra chiedersi “Ma davvero ci tenevate così tanto a questa partita qui? Ho rovinato tutto io con un colpo di testa? Dai, animo ragazzi!“. Difficile scordare la saudage ellenica di Georgatos, che tanto scarso non sembrava, all’inizio, quando Cuper gli batteva la mano sul petto. O Alessandro Pistone, la cui unica grande colpa fu quella di non andare da Hodgson a dire: “Mister, faccia pure questa cazzata di vendere Roberto Carlos, ma non metta in mezzo me“. E così via. Ma Brechet no.

Chi era davvero Jérémie Brechet?

Un giocatore profondamente inadatto al nostro campionato. Una sera venne a San Siro a giocare contro l’Inter con il suo Lione, fece il solito figurone che ci è costato anni di abbagli, esborsi e fegati rovinati, da Centofanti a Nagatomo – persone simpaticissime, sia messo agli atti – e diede a Branca l’illusione di aver scoperto un grande terzino sinistro. Lento, tecnicamente molto poco dotato, spesso fuori posizione, un giorno Zaccheroni provò persino a schierarlo in una difesa a tre. Visto che è così scarso come terzino – pensò Zac – magari scopro che è un centrale. Nulla, di Brechet si sono ovviamente perse le tracce. Qualcuno dice di averlo visto giocare con l’Ajaccio qualche anno più tardi. Ma perché arrivò Brechet? E come aveva fatto ad ingannarci così? Esattamente come ha fatto Henrique Chagas Estevão, noto ai più come Dalbert. Uno di quei giocatori ai quali associ immediatamente la musichetta di Momenti di gloria, quella che la Gialappa’s usava per accompagnare le immagini di un aereo in partenza per una destinazione di solo andata.

Anzi, solo ritorno.

Ma è davvero così scarso Dalbert?

Rischiamo di rispedirlo in patria senza nemmeno averne saggiato una delle tante qualità che ci avevano venduto? Mi spiego: Dalbert non è veloce, non ha un gran controllo di palla, non ha tiro, ha un cross inguardabile – vi mostrerei il video di una cosa insensata fatta contro il Bologna ma ho paura del ranking seo del sito – e un senso tattico pari a quello di un ragazzo delle giovanili. Questi dati, così poco empirici me ne rendo conto, si vedono ad occhio nudo. Basta sedersi in un qualunque seggiolino di San Siro. Tra l’altro Dalbert non soffre nemmeno tremendamente il pubblico come qualche suo vecchio collega di fascia sinistra. Semplicemente è inadeguato in casa come fuori casa. L’unica nota positiva di Dalbert la registriamo alla seconda giornata, quando salva un gol praticamente fatto della Roma respingendo in spaccata un pallone destinato ad entrare, ad Handanovic battuto, sull’1 a 0 per i giallorossi. Fino a qui, parliamo di sensazioni. Ma siccome siamo tipi tremendamente curiosi, siamo andati a vedere qualche dato. E scopriamo, grazie a Instascout, che i cross andati a buon fine sono 0, che i tiri nelle specchio della porta 2 (entrambi parati, nemmeno respinti), che le sovrapposizioni sbagliate una infinità e le chiusure difensive riuscite un paio. All’inizio Spalletti ha provato a lanciarlo nella mischia. Poi gli ha preferito nell’ordine Nagatomo, D’Ambrosio, Cancelo con una gamba sola, il magazziniere e lo steward. Ma lui nulla. Nessuna malinconia, nessuna insofferenza, il volto sempre uguale di chi non ha capito dove è capitato. Lo stesso di Jérémie Berchet.

Dobbiamo rassegnarci?

Si tratta di un giocatore irrecuperabile, o magari conviene aspettare – visto anche il prezzo folle che è costato – un’altra stagione. C’è chi dice che il problema stia nel fatto che il ragazzo non ha potuto fare la preparazione, perché in attesa di notizie dall’Inter. Personalmente mi pare che l’ultimo dei problemi di Estevão (magari proviamo a cambiargli nome, come con Eriberto Luciano) sia quello fisico, ma una chance voglio dargliela. Chissà che come accaduto a Emerson Palmieri non sia tutta una questione di ambientamento e ci ritroviamo un giocatore nuovo tra qualche mese. Ma la riflessione vera, da fare, è che mai come in questo periodo è fondamentale avere un allenatore manager che ragioni con un budget alla mano e non semplicemente avallando delle scelte. Avrebbe speso Spalletti 20 milioni del suo tesoretto per comprare Dalbert? E oggi preferirebbe spenderne 35 per riscattare Cancelo e continuare con D’Ambrosio a sinistra o preferirebbe cercare altre soluzioni? Perché si parla molto della cifra (a mio parere corretta) che l’Inter dovrà sborsare al Valencia per assicurarsi quello che a mio parere è uno dei terzini più forti d’Europa, in prospettiva ma neanche tanto, e poco della cifra folle che è stata spesa per assicurarsi il Brechet di Barra Mansa. Con l’augurio di sbagliarmi e di poter dire, tra un anno, che sono io quello che i francesi chiamano les incompétents. 

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