Ha segnato per noi… Anzi no (esultare ai tempi della VAR)

L’esultanza è un momento di liberazione, un rito collettivo, l’esplosione di gioia che rilascia le endorfine nascoste chissà dove, sepolte da fatiche e piccole catene di amarezze quotidiane. Più che scambiarci un segno di pace ci abbracciamo, sorridiamo a sconosciuti e amici, ci trasformiamo in bambini  di fronte a un dono inaspettato o lungamente atteso. Tutto questo per un gol, la palla che rotola in rete, una cosa semplice e immediata.

Innesco (gol) – Esplosione di gioia

Ci vuole meno di un secondo e l’onda d’urto travolge anche i distratti, quelli che stavano facendo altro, magari persi dentro agli smartphone o imbambolati a fissare la curva che canta, forse alla ricerca dell’omino delle birre e dei gelati o semplicemente distratti. A volte mi sono ritrovato a testa in giù, ribaltato su una fila che non era la mia, scarmigliato e tumefatto per la foga scomposta con cui salutiamo i gol importanti. Di questi tempi è difficile usare metafore come esplosione e onda d’urto senza provare imbarazzo, ma parliamo di gioia e non può non esserci una licenza poetica. Se già di suo il rilascio è lento e ci vuole un po’ a ricomporsi, il marketing dell’esultanza negli ultimi anni ha ulteriormente alzato l’asticella e così dopo il gol, proprio mentre gli ultimi abbracci si allentano e uno sarebbe pronto a tornare al proprio posto, ecco che un sobillatore pagato dalla società impugna il microfono e ci suggerisce di ripetere per almeno 5 volte il nome del marcatore.

Non ripeterlo, strillarlo.

Se ormai sei un bambino felice e in quel momento hai perso contatto con la tua identità altra, accetti di buon grado e partecipi al gioco gridando quel nome con gli occhi che schizzano dalle orbite, paonazzo e fino a perdere la voce. Il rito è completo, andiamo in pace fino al prossimo gol.

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O fino all’altro ieri, perché da agosto in poi la dinamica casuale, disordinata e rumorosa dei nostri momenti di gioia è profondamente cambiata. Attenzione, chi scrive è molto (non poco, molto), a favore della VAR e del livello di accuratezza che ha aggiunto al giudizio arbitrale. Quello che vediamo ora è un calcio più esatto, meno legato alle moviole e alle polemiche del post partita e più ancorato ai fatti del campo. Il problema è che al cambio dei regolamenti e dei comportamenti in campo ne segue uno meno evidente ma altrettanto radicale e sconvolgente sugli spalti.

Non sappiamo più quando esultare, se esultare e come.

Ho visto da casa Milan – Udinese. Lasagna segna, felice assonanza, e i tifosi ospiti impazziscono nel loro piccolo spicchio di stadio. Festeggiano e dopo un minuto tutto quel beato sentimento corsaro va a farsi fottere, cancellato e azzerato dalla decisione finale dell’arbitro. Come se non fosse mai esistito, spazzato via. Eppure hanno esultato, è successo ed è passato a registro, iscritto al registro delle loro vite. Obietterete che accadeva anche con i gol annullati per fuorigioco, che succedeva già. Vero ma solo in parte: prendete ad esempio quello che è venuto dopo, sempre nella stessa partita.

Kalinic è in fuorigioco come Lasagna, una questione di pochi centimetri, quisquilie che però da qui in poi faranno la differenza (come giusto). Segna, esulta e tutto lo stadio con lui. Reggesse il paragone con il passato ci fermeremmo qui, ma lo speaker ha un mandato e vuole eseguire il suo lavoro, guadagnarsi lo stipendio, quindi impugna il microfono e fa ripartire l’euforia, quella dell’ha segnato per noi. 

Che siano 3 o 5 volte fa poca differenza, urlare contro il cielo il nome del marcatore è bellissimo. Però arriva la VAR e anche quel gol viene annullato e tu sei lì come un pirla, con i pugni ancora chiusi e l’ultima ć ancora sulla punta della lingua. È come scoprire che Babbo Natale non esiste, che ti hanno rigato la macchina nuova, che lei non era raffreddata ma usciva con quello della terza B e non con te. Annullare, azzerare, ripartire.

Come si esulta ai tempi della VAR? Un lungo coito interrotto e ripreso nel caso dovesse andare bene? Non si esulta e si mette in scena una cosa posticcia nel caso fosse confermata la rete (un po’ come nel rugby, gran pacche sulle spalle e sospiri di sollievo)? Come si fa, in caso di annullamento, con tutti i gestacci, le contumelie e gli sfottò dedicati alla tifoseria avversaria a esultanza in corso? Li si richiama indietro, ci si scusa, si fa finta di nulla?

Sono felice che la VAR esista, evviva. Felice ma preoccupato per la mia vita da tifoso, per quei momenti di trascurabile felicità che rischiano di cambiare per sempre e perché non sono convinto della possibilità di parcellizzare l’urlo di trionfo che sale dopo ogni gol. Magari è solo questione di tempo, magari no e mi ritroverò tifoso di un calcio scientificamente evoluto ma un po’ più freddo, un po’ più triste. sono scemenze, per carità, ma lo è anche il calcio per fortuna e allora vale la pena di onorarlo così, interrogandoci non sul sesso degli angeli ma sulla loro lingerie.

2 thoughts on “Ha segnato per noi… Anzi no (esultare ai tempi della VAR)

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  1. Nel rugby non ci si danno pacche sulle spalle perché non si sa come esultare, ma perché non si esalta il marcatore come nel pallone rotondo, visto che la meta la segna la squadra. Capisco che sia un concetto alieno ma non è così.

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