di Giacomo Dotta e Cristiano Carriero
Non so a voi, ma mai come in questo periodo mi è capitato di notare su Facebook una condivisione in comune tra molti conoscenti. Si tratta del video che racchiude gli ultimi 10 minuti di quel famoso Inter-Sampdoria. Si, quello, proprio quell’Inter-Sampdoria, avete capito benissimo quale. Esistono molte versioni di quei minuti e su YouTube ognuno può scegliere facilmente quella preferita. Io prediligo le versioni lunghe, complete, quelle in cui nessun montaggio cancella le sfumature. Immagini epiche, che sono ormai storia, ma che improvvisamente diventano una sorta di afflato. Perché, mi son chiesto: perché improvvisamente ha iniziato a circolare di più, come tornato dai meandri di una coscienza collettiva, come improvvisa apparizione di un istinto primordiale? Così ho riguardato quelle immagini. Di nuovo. Ancora. Per capire.
Nei primi minuti ci sono i volti dei tifosi che abbandonano lo stadio: 0-2, mancano 5 minuti allo scadere, c’è delusione, è comprensibile. La massa scivola verso l’uscita, la fila è impacciata e i volti son tirati. Si sente lo stadio mugugnare sommesso, un ronzio profondo fatto di migliaia di “se” e di “ma”. Aria pesante, sguardi incupiti. In campo il pallone gira confuso, impacciato quanto la fila, grigio quanto il mugugno. Col senno del poi le telecamere furono crudeli nell’inquadrare quell’esodo, mostrando in volto chi se ne stava andando. Era il 40esimo minuto e qualcuno aveva già raggiunto l’area esterna: sciarpa al collo, mani in tasca, umore nero. Obiettivo unico: andarsene prima di restare inghiottiti nel traffico.
41esimo, improvviso, un lampo: palo di Recoba. Un tiro di una potenza disarmante che trasforma i “se” in un urlo e i “ma” in una contrazione. La voce dello stadio si alza, cambia tonalità, come a farsi più acuta: è la somma di ogni singola reazione al netto del respiro sospeso. Riecheggia anche fuori dallo stadio, dove le orecchie si alzano al cielo e la testa ricade subito ostinatamente. Poco dopo Vieri sfiora il gol e subito parte qualche coro. Piano piano, in crescendo, come nei film in cui, quando inizia la musica in sottofondo, sai che sta per arrivare la svolta. Ecco la magia, infatti: cercatelo il video, guardatevi quei 30 secondi dal 42esimo al gol di Martins. Perché mentre il pallone viaggia in verticale dalla difesa alla porta avversaria, c’è nello stadio una colonna sonora naturale che accompagna l’azione in crescendo e con perfetta sincronizzazione. Un coro unico fatto di migliaia di voci e due gambe.
Al 43esimo il telecronista (non parlo di Scarpini, quello se lo son goduti solo i privilegiati) guarda quegli spalti che la telecamera non inquadra più: “qualche tifoso che già se ne stava andando ha deciso di aspettare ancora qualche minuto”. Me li immagino quelli che già erano fuori dallo stadio, quelli che per primi hanno voluto sbottare, quelli che già camminavano a passo spedito verso l’auto e che dal parcheggio di San Siro hanno sentito l’urlo per “Oba Oba”. Per un attimo forse hanno voluto desistere, ma il cronometro è inesorabile e, se non altro per orgoglio, hanno proseguito verso l’auto per anticipare il fischio finale. Ecco l’auto, in mezzo a tante altre: si getta la sciarpa sui sedili posteriori, si inserisce la chiave, pronti a partire.
Pochi secondi dopo, in quel video il movimento è facile da notare: le maglie bianche indietreggiano, le maglie scure avanzano, il volume del pubblico sale. Un balletto preciso, sincrono, stupendo: tutti da una parte, tutti dall’altra, tutti avanti. La voce dello speaker recita la formula di fine partita, ma è solo sottofondo: un calcio d’angolo dopo l’altro, un sussulto dopo l’altro, uno scatto di Martins dopo l’altro, con un ritmo che alza le palpitazioni con la stessa carica scenica che potrebbe avere solo la migliore delle scenografie di Hollywood. Chi è ancora nello stadio non ne uscirà più.
Eccolo il 45esimo: “Martins, Martins, ancora Martins, rete!”. Oppure: “è gol, è gol, è gol è gol è gol!”. A buttarla dentro era Bobo Vieri, che si tolse la fascia e assieme a lui tutta la curva. Ecco la telecamera tornare sugli spalti: vedi le braccia al cielo, ma vedi anche le poltroncine vuote di quelli che non ne avevano voluto sapere, di quelli che avevano dato precedenza alla corsa verso l’autostrada, di quelli che a quel punto, dal parcheggio di San Siro, si stavano chiedendo quale sorta di miracolo potesse essere successo là dentro.
Inutile nasconderselo: a quel punto cercammo tutti di capire di quanto fosse il recupero. Tutti. Anche quelli nel parcheggio, probabilmente, che hanno acceso l’autoradio e non si son più mossi da lì. In auto, mangiandosi le mani, soli in mezzo a centinaia di auto. Quelli sulle scale hanno probabilmente tentato di salire e allungando il collo hanno cercato di recuperare uno spazio per vedere il rettangolo di gioco dalla calca agli ingressi.
Al 47esimo Martins recupera un pallone sulla destra, pochi secondi dopo ne recupera uno a sinistra: in diretta forse non te ne eri accorto, ma oggi è incredibile poter tornare indietro nel filmato e guardare le sue gambe che divorano l’erba. Nel mezzo l’ennesima sassata di Recoba: un aperitivo dolce, dolcissimo, per scaldare le voci prima dell’incredibile.
48esimo minuto, tutti sappiamo cosa è successo. Tutti lo ricordiamo. Chino Recoba, sinistro, nell’angolo basso, indimenticabile. E pochi secondi più tardi eravamo tutti accovacciati nel cuore di Mancini che indicava quei due là dietro (e con il dito li indicava, voi due, proprio voi due) che avevano contestato le sue scelte quando tutto sembrava girare storto. Chissà là fuori nel parcheggio cosa avranno pensato, con in tasca il biglietto per uno degli spettacoli più belli mai visti a San Siro, spettacolo che però loro non hanno mai in realtà visto se non per i primi, inutili, 88 minuti.
Mi chiedo perché così in tanti abbiano condiviso il video in queste settimane: non è solo questione di anniversari e forse un motivo profondo in realtà c’è. Forse è come quella voce che saliva mentre Martins entrava in area. Forse è quel sentimento che ti chiede di unirti al coro, invece di uscire dallo stadio. Perché anche i peggiori momenti si possono ribaltare. Anche quando gira storta, si può cambiare. E se qualcuno prende la scena sbuffando, chiedendo il solito reset e soffiando sui soliti “non cambia mai niente”, condividetegli quel video. Fategli sentire la voce di San Siro. Perché Martins non correva da solo quel giorno mentre scavava il campo da una parte all’altra. E Recoba non calciava da solo mentre prendeva la mira. Gli unici soli erano quelli fuori, arrivati anzitempo al parcheggio: “dalla parte sbagliata, in una bella giornata”.
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