Dimensioni
Grosso. Possente. Gigante. Non particolarmente alto (sono sempre una decina di cm più di Mauro Icardi, sia chiaro), ma nulla di fuori misura. A far la differenza sono però quei 10 kg più di Dzeko o quei 15 Kg in più di Maurito. Li vedi tutti quei kg: dopo averli intravisti nelle fotografie dei polpacci che trapelavano dai primi allenamenti, si sono visti a San Siro fin dall’entrata in campo: un armadio nerazzurro tutto muscoli e potenza, roba che non si vedeva dai tempi di Adriano (quando ancora sognavamo chiamandolo Imperatore). Andatura ciondolante, spesso ricurvo sul pallone a difesa dello stesso, braccia larghe a tracciare una diga, a testa bassa quando lo spazio si apre di fronte. Eppure così elegante quando il braccio si allarga e con un inchino si presenta al pubblico.

Velocità
Non tutto quel che esiste si può vedere. La velocità, ad esempio, non si è ancora vista. La si può però immaginare, partendo magari dai dati emersi poco tempo fa da un tweet:
Ogni scatto e ogni mossa nello stretto durante la prima partita ha lasciato trapelare un ritmo ancora tutto da preparazione pre-stagionale, un ritardo di forma del tutto motivato e logico. Ma con un pizzico di immaginazione si può intravedere ben altro: serve carbone nella stiva per muovere quella massa, servono allenamenti nelle gambe per muovere quei Kg. Ma quando la massa e la velocità si moltiplicano, ne esce fuori una potenza micidiale.
A tratti si è anche vista: un paio di corse lanciate verso la porta avversaria hanno lasciato San Siro con il fiato sospeso, come se quella corsa potesse terminare soltanto con un pallone scagliato di prepotenza in fondo al sacco. Come Adriano, quel giorno, dopo aver scavato un solco lungo tutto il campo. Non è ancora successo, non in una azione di quel tipo, ma succederà: è una certezza. E’ destino.
Ci penso io, salite
Palla lunga, stop, protezione della palla, la squadra sale. Un secondo, 5 metri. Due secondi, 10 metri. Tre secondi, 15 metri. Ogni istante in cui la palla è messa in cassaforte tra quei bicipiti, Brozovic e Sensi hanno macinato metri per salire, la difesa si è schierata alta, gli esterni son partiti sulle fasce.
Un meccanismo che lo scorso anno non poteva funzionare (caro Maurito, questo ti si chiedeva), quest’anno diventerà un marchio di fabbrica che ben pochi difensori centrali riusciranno a limitare. Ma se la squadra riesce a mantenere un baricentro alto grazie a questi istanti di protezione palla, tutti i meccanismi girano meglio: pressing più semplice, giropalla più preciso, spazi accorciati, squadra compatta, difesa alta. Romelu fermerà il tempo, gli altri dovranno muoversi a memoria in quegli istanti: questione di sincronismo, questione di tempo, questione di sintonia.

Altruismo
Nella sola partita con il Lecce è successo almeno 5-6 volte: Romelu Lukaku, l’uomo da 65 milioni di euro più bonus, invece di cercare la soluzione personale verso la porta ha preferito più o meno riusciti assist verso i compagni. A volte geniali e precisi, a volte raffazzonati e sterili, ma frutto di uno schema mentale ben preciso: la punta al servizio della squadra, pronta a fare il lavoro sporco ed a velocizzare quanto prima l’azione.
Poco importa se non sempre è riuscito: quando forza e ritmi arriveranno a sostegno delle idee, tutto sarà più semplice. Ma è il semplice tentativo da apprezzare: spesso per Lautaro, a volte per Mathias, ogni tanto per Antonio. Ed ecco che alternativamente Martinez, Vecino e Candreva si proponevano sulla sponda per velocizzare l’azione e arrivare al cross. Il karma, poi, restituisce tutto: è bastato un tiro di Lautaro da lontano per offrire a Romelu la palla sognata fin da inizio partita. Gol, inchino, giù il sipario.
Attenzione, dice radiomercato che presto in quei paraggi sgambetterà anche un certo Niño Maravilla. Benzina sulla “scintilla” che Conte vorrebbe trasformare in “dinamite”.
Esultanza
Un inchino, per presentarsi e per ringraziare. Una corsa verso la panchina, per trasformare il gol personale in un abbraccio di squadra. Ma c’è di più in tutto ciò. E quel di più è l’abbraccio tra il ragazzino e il gigante buono. Quel di più è l’immagine di Sebastiano Esposito tra le braccia di Lukaku. Quel di più è il ragazzo che si presenta a San Siro dopo un’estate d’oro e si trova a festeggiare con il top player il suo primo gol stagionale. Le telecamere non devono più cercare la femme fatale seduta a bordo campo, ma possono soffermarsi sul sorriso spontaneo del gigante e del bambino. Sono segnali sottili, spesso sottovalutati, troppo spesso fondamentali. E’ un nuovo inizio.
Così il gigante buono, ancora tanto imballato nei muscoli quanto brillante negli atteggiamenti, si è conquistato San Siro. Quando il microfono ha scandito “ro me lu” la risposta è arrivata all’unisono, convinta: LU KA KU.
Sperando di gridarlo ancora. E ancora. E ancora. E ancora.
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