Era il 9 novembre 1997. Sono già passati vent’anni dalla sua morte eppure sembra ieri. Per molti, soprattutto ragazzi nati negli settanta e ottanta, era un istrionico commentatore di calcio in trasmissioni apprezzabili come Prove tecniche di trasmissione – nella stagione 1989/90 su RaiTre – o in altre improbabili – L’appello del martedì.
In realtà, Helenio Herrera fu molto più di questo. Fu, prima di tutto, un allenatore. Ma fu anche un innovatore, un capo branco, un tattico e un motivatore. In altre parole, un genio.
Nato a Buenos Aires nel quartiere Palermo, un’infanzia povera trascorsa fra Argentina e Marocco, dove il padre aveva cercato fortuna, è grazie al calcio che Herrera fa fortuna, prima come giocatore in Francia e poi come allenatore.
Come tecnico, Herrera si fa notare in Spagna alla guida del Valladolid, che conduce alla salvezza. Lo notano a Madrid, sponda Atletico: con i Colchoneros Helenio vince due campionati consecutivi ottenendo anche un secondo posto. Il cambio del presidente deteriora i rapporti con la società e Herrera lascia l’Atletico per approdare prima al Malaga e poi al La Coruna. Infine, arriva a Siviglia, dove tre ottime annate sono seguite ancora una volta da rapporti burrascosi creatisi con la dirigenza dopo la morte del presidente Sanchez Pizjuan. Helenio ha ancora due anni di contratto ma vuole andare via e la Federcalcio iberica lo squalifica. Scappa oltre frontiera, al Belenenses, infine torna in Spagna dove lo accoglie il Barcellona che nel frattempo ha ottenuto per lui la grazia. In Catalogna Herrera esplode: vince due titoli, due Coppe delle Fiere e una Coppa di Spagna.
“Pensa veloce, agisci veloce, gioca veloce”
Helenio Herrera
È in blaugrana che lo nota l’Inter. Il general manager nerazzurro Alberto Valentini, uomo di fiducia di Angelo Moratti, lo convince a suon di milioni a firmare per l’Inter.
Dal momento del suo sbarco a Milano il calcio italiano non sarà più lo stesso. I primi due anni non furono un granché ma dal terzo le cose cambiarono: nacque così la Grande Inter degli anni ’60.
Dietro ai successi colti, anche un cambiamento nello stesso Herrera. Arrivato in Italia col pallino del bel gioco offensivo, Herrera si accorse subito che per vincere in Italia avrebbe prima di tutto dovuto dare alla sua Inter una solida base difensiva. Per far questo, Herrera rinforza la difesa e muove Armando Picchi nel ruolo di libero. È la svolta: guidati dal livornese nelle retrovie, con Giacinto Facchetti primo prototipo italiano di terzino fluidificante, con Luisito Suarez in cabina di regia e con Sandro Mazzola davanti quella Inter di Herrera vince tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali nel periodo compreso fra il 1962 e il 1966.
“Herrera era avanti anni luce rispetto alla media degli allenatori…lui allenava prima le testa e poi le gambe. E soprattutto: dieta rigida e massima professionalità”
Sandro Mazzola
Ma il lavoro sul campo può soltanto parzialmente spiegare la grandezza del Mago, come fu presto ribattezzato. Infatti, HH – altro nomignolo, affibbiatogli dal grande Gianni Brera – era un maniaco dell’’alimentazione, in un periodo in cui molti giocatori bevevano un bicchiere di troppo a tavola o fumavano. Nulla era lasciato al caso, con la preparazione atletica che era durissima e con allenamenti intensi.
Il tutto per correre più velocemente degli avversari la domenica in campo. Il famoso tacalabala infatti non era altro che un termine, frutto del pluralismo linguistico del mago, per incitare i giocatori al pressing costante.
“Classe, più preparazione atletica, più intelligenza, uguale scudetto”
Helenio Herrera
Tutto questo era completato dalle qualità da fine psicologo che HH aveva. I cartelli motivazionali con cui tappezzava lo spogliatoio nerazzurro non erano altro che un mezzo per ricordare ai propri calciatori la necessità di lavorare duro per ottenere risultati.
Ma non sono stati soltanto i suoi calciatori a dover dire grazie a Helenio. Anche tutti gli allenatori suoi contemporanei o venuti dopo di lui dovrebbero ricordarlo con riconoscenza. Infatti, è proprio a partire da Herrera che si cominciò in Italia a definire le squadre in base all’allenatore. Prima di lui c’era il Grande Torino di Valentino Mazzola o il Brasile 1958 di Didì, Vavà e Pelè. Dopo Helenio ci saranno l’Inter di Herrera, l’Olanda di Rinus Michels, il Milan di Arrigo Sacchi.
Con HH l’allenatore cessa di essere soltanto l’ultimo nome ad essere annunciato dall’altoparlante dello stadio e diventa invece componente fondamentale della squadra, tanto da caratterizzarla anche nella nomenclatura. È questa un’altra delle grandi eredità lasciate ai posteri dal Mago. Il conto in banca dei vari Guardiola e Mourinho, sentitamente, ringrazia.
Dopo quella Inter Herrera non sarà più lo stesso. Il passaggio alla Roma di Fanucci, con un contratto – manco a dirlo – faraonico, si risolse in un nulla di fatto. Anche il ritorno ai Nerazzurri, ora guidati da Ivanoe Fraizzoli, fu ammantato più un amarcord che un ritorno ai fasti di un tempo. La parabola calcistica di Herrera era conclusa. Quello che non si chiuderà mai sarà invece il ricordo carico di affetto dei tifosi nerazzurri e degli amanti del calcio per le emozioni che la sua Inter seppe regalare in quei gloriosi anni ’60.
Il fatto che i giardini di piazza Axum, a due passi dalla scala del calcio, siano stati intitolati a Herrera non è altro che un doveroso e forse tardivo omaggio a chi è stato capace di contribuire a innovare il gioco più bello del mondo e a issare il club meneghino sul tetto del Mondo.
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