La notte in cui Adriano fece tremare il Bernabeu

Di Vincenzo Renzulli

 

Nella favela di Vila Cruzeiro, periferia nord di Rio, c’è un uomo che contempla un boccale di birra mezzo vuoto. Oggi beve poco, ma per anni l’alcol ha accompagnato la sua vita e l’ha fatta a pezzi. Tutti lo conoscono perché qualche anno prima era il centravanti del Brasile e dell’Inter, il gigante dal sorriso dolce sulle cui spalle poggiavano le speranze di un paese intero, un paese che respira calcio, e di una tifoseria che aveva lo aveva incoronato Imperatore. Adriano l’Imperatore.

Poi la notizia della morte del padre Almir, l’uomo che gli diede fiducia quando nessuno ne aveva, quel sorriso perso nei gorghi di una depressione che nemmeno la vicinanza della famiglia riuscì ad alleviare. “Sorrido sempre“, confessò una volta. “So che qualcuno mi considera strano, ma ho visto accadere cose tristissime, non passa mese che non mi giunga notizia di un amico finito male. La mia vita è stata dura e mi è rimasta dentro la paura di cadere. Guardo sempre avanti e voglio rimanere così: felice e sereno.” Quel giorno di agosto del 2004 però la felicità scomparve dal volto dell’Imperatore gentile per lasciar spazio a un’infinita tristezza.

Adriano

L’altra parte della storia conosciamo: i fiumi di alcol in cui affogare ogni dispiacere, gli allenamenti saltati perché riusciva a stento a reggersi in piedi, le feste organizzate a casa sua o in qualche locale con tanta gente attorno, ma con un costante senso di solitudine, il tentativo dell’Inter di aiutarlo con il ritorno in Brasile. Lì fece a botte con gli altri (la testata rifilata a un avversario nel periodo in cui giocava col San Paolo), ma di più con se stesso. Non smetteva di bere, non si allenava, la velocità e la rapidità dei movimenti scomparvero sotto uno strato di grasso. Il declino non si sarebbe più fermato

Oggi Adriano è vicino alla madre, ai suoi figli e agli amici con cui è cresciuto, nei luoghi e con le persone capaci di riempire almeno in parte quel vuoto lasciato da suo padre. Ha perso peso, sembra più sorridente. Ha provato ad andare a Miami lo scorso anno, ma è durato pochi giorni lontano da casa. Chissà se davanti a quel boccale di birra ripensa a quando tutto è iniziato, in una notte di calcio estivo di 16 anni fa. Nel tempio del Bernabeu, i grandi del calcio mondiale con la camiseta blanca si sentirono piccoli al cospetto di uno sconosciuto ragazzino brasiliano.

Nel 2001 non c’era ancora Youtube e di Adriano si sapeva quasi nulla, se non che era stato preso dal Flamengo nell’ambito della cessione di Vampeta alla società brasiliana. Erano i primi giorni dell’Inter di Hector Cuper, in campo c’erano Kallon, lo sfortunato Ventola, Vieri e Seedorf assieme ai vari Binotto, Guly e (sigh) Gresko. Le urla di dolore di Ronaldo all’Olimpico le sentivamo ancora vicine, il fenomeno era ancora lontano dal ritorno. Nessuno poteva immaginare che quella stagione sarebbe finita con uno scudetto perso all’ultima giornata e con l’addio del giocatore che io e tutti gli altri tifosi nerazzurri hanno amato come nessuno, che finì proprio al Real.

Col Real Madrid non è mai una partita amichevole, soprattutto nello stadio che negli anni ’80 ha condannato l’Inter tante volte e che poi nel 2010 l’ha incoronata regina d’Europa, come per risarcirla per tutti i gol che Santillana puntualmente segnava quando vedeva nerazzurro.

Ricordo quel 14 agosto del 2001. La tv sintonizzata su Rai 1, l’esultanza con mio padre e mio fratello dopo un gol di Vieri su assist illuminante di Seedorf, un rigore discutibile che il vecchio capitano Hierro trasformò senza tanti problemi. Dei primi 85 minuti mi vengono in mente distintamente solo i due gol, ma dall’ingresso di Adriano in poi ricordo ogni singolo momento di quella partita. Avevamo bisogno di una speranza, di un giocatore che ci facesse innamorare di nuovo, e quella sera accadde.

Prima un assist a Vieri, che di testo mandò fuori di poco, poi un’azione personale con cui dribblò diversi avversari prima di farsi chiamare fallo a limite dell’area. A guardarlo ora sembra quasi un climax cinematografico.

Nessuno pensava che avrebbe tirato lui, neanche i telecronisti Rai, convinti che quella punizione l’avrebbe calciata Seedorf. Cuper però aveva già visto in allenamento cosa sapeva fare Adriano e urlò a squarciagola per dire agli altri di farsi da parte e lasciar tirare lui. L’Hombre Vertical ci aveva visto giusto quella volta.

Bam, un tiro da un’altra dimensione che per poco non spaccò la traversa.

Stadio ammutolito, Casillas sconvolto, io che salto sul divano con una faccia incredula paragonabile solo a quella che fece “Jimmy” Fontana, l’allora secondo portiere, che si alzò dalla panchina con l’espressione di un fedele a cui è appena apparsa la Madonna. Una potenza del genere aveva poco di umano, era più simile a quella di un personaggio dei fumetti o di qualche manga giapponese, tipo Vegeta quando scagliò il suo Final Flash verso Cell in un’indimenticabile episodio di Dragonball.

Quella notte di piena estate sembrava essere l’inizio di qualcosa di straordinario, e in parte lo è stata. Adriano, per un breve periodo di tempo, è stato l’Imperatore nerazzurro, il mix perfetto tra strapotenza fisica e tecnica prima dell’era Ibrahimovic. Bolidi e tocchi di fino, progressioni da centometrista e stacchi da giocatore di basket.

La depressione e l’alcol che lo hanno consumato però ci hanno privato dei suoi anni migliori. Oggi Adriano costeggia la vita, provando di tanto in tanto a rientrare in campo per poi rinunciare puntualmente. Alla ricerca di un tempo perduto che, purtroppo (per lui e per noi), non tornerà più.

 

 

 

 

 

 

Adriano era un fuoriclasse vero, poteva essere l’erede del fenomeno sia in verdeoro che in nerazzurro.

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