Oggi se n’è andato Guido Rossi. Ve ne sarete accorti perché sui social network si sono aperte le cateratte dell’odio e una moltitudine di persone (quasi tutte senza nome e senza volto), ha deciso che fosse il giorno, un altro giorno buono per mostrare quanto si possa essere disumani e stupidi e come sia semplice sovrapporre i piani e perdere la misura delle cose. Sport e vita, morte e calunnia, tutto miscelato in un’unico immondo miasma.
Chi era Guido Rossi? Semplice, uno dei più grandi giuristi italiani, pragmatico architetto del diritto e uomo di potere, quello vero, quello della stanza dei bottoni. Nato senza privilegio, orfano, costruì da solo la sua fortuna. Uomo di genio, brillante e contraddittorio, l’archetipo dell’individuo libero e del sottile intellettuale. Senatore con la sinistra indipendente, rivendicò sempre frontalmente la sua posizione politica e rifiutò le etichette che di questi tempi si affibbiano con leggerezza (radical chic et similia). Fu forte con i forti, sua la meravigliosa battuta sul comitato d’affari di D’Alema (“l’unica merchant bank in cui non si parla inglese”).
AD di Telecom, promotore della legislazione Anti Trust, Presidente della Consob e solido amministratore della vicenda Montedison negli anni drammatici del dopo Gardini, Guido Rossi passerà alla storia dello sport per un altro motivo, accompagnato dall’odio imperituro di tutti quelli di cui già detto sopra. Guido Rossi era interista, molto interista. Tanto interista da essere stato nel CdA a partire dal 1995, chiamato insieme ad altri nomi illustri a ricostruire la grandeur morattiana.
Ripeto l’invito. Se volete fare un viaggio nella miseria e nell’orrore, cercate Guido Rossi sui social, cercatelo oggi. Verrà seppellito in una bara di cartone, e via così. Perché l’insigne giurista e l’uomo di potere nel 2006 accettò l’incarico di Commissario Straordinario della FIGC, quella spaventosa macchina di potere e corruzione che amministrava indisturbata il calcio italiano senza rendere conto a nessuno oppure rendendo troppo conto ad alcuni. Guido Rossi diceva che: «Le leggi sono efficaci fino in fondo solo se dettate in una comunità, al cui interno la loro accettazione sia accompagnata da un consenso che riguarda altri del controllo sociale e del vivere civile, esterni alle sfere del diritto».
Comunità e condivisone del dettato della legge, altrimenti è lettera morta.
Possiamo discutere per ore se la nomina di un Commissario Straordinario sia inficiata in qualche modo dalla sua pubblica professione di tifo e dal suo impegno pregresso in una società che in Calciopoli era parte in causa. Possiamo discuterne per ore e con tutta probabilità il buonsenso avrebbe sconsigliato una scelta del genere, quello e l’etica professionale che certo a Rossi non mancava. Possiamo sfinirci su carte processuali che inevitabilmente vengono piegate a supporto della parte che le impugna, perché mai processo (sportivo e non), è stato divisivo e manipolato come Calciopoli, mai si è vista una società condannata in ogni grado di giudizio rifiutare tanto rabbiosamente le sentenze, al punto da continuare ad attribuirsi i titoli revocati, sfrontatamente e con totale incuranza della legge (sportiva in questo caso).
Se le leggi non sono accompagnate dal consenso della comunità, sono lettera morta.
Quella del calcio, quella del tifo non è una comunità. Nonostante un interesse condiviso, manca il rispetto dell’integrità di quell’interesse, non c’è alcuna volontà di risolvere le anomalie reagendo come sistema. Anzi.
Guido Rossi per un certo periodo rispose alle accuse di faziosità e agli insulti per il sanguinoso crimine di aver attribuito (previo il parere di tre saggi che poi smentirono, altra farsa del farsesco sistema di controllo e giustizia di Calciopoli), lo scudetto 2006 all’Inter e sostenne che il problema non era lui, che il problema della Juventus si chiamava Luciano Moggi, come peraltro dimostrato da una quantità impressionante di prove. Poi smise, forse pentito di aver preso parte a quella orribile buffonata che è la gestione del potere nello sport italiano.
Possiamo dibattere per ore sull’opportunità di ritirare quello scudetto. Io sono parte della sparuta minoranza che lo avrebbe lasciato lì, non assegnato. Niente e nessuno mi ripagherà dell’amarezza del 1998, di quell’aprile maledetto e della trasferta grottesca di Torino, di quei mesi di gol di mano, di gol annullati o assegnati generosamente, di arbitraggi deliranti. Non sono un complottista, penso di aver visto bene, molto bene. Penso anche che se la posizione della Juventus nel 2006, sempre a seguire le carte, era quella del corruttore massimo, ben altro ruolo aveva il Milan, convitato a un gioco sporco a cui purtroppo anche l’Inter, che fosse per rassegnazione, frustrazione o altro aveva tentato di accedere (le offerte di lavoro a Moggi restano un capitolo più nero che non oscuro della storia nerazzurra). Possiamo fare ogni cosa, se l’intento è dialettico e il contesto è sereno.
Non è stato un titolo assegnato a tavolino a ripagarmi delle nausee di fine anni Novanta.
Ma su Calciopoli non c’è alcuna possibilità dialettica e il lavoro di Guido Rossi è passato alla storia come un fallimento, per un verso o per l’altro. Incompleto e raffazzonato, per quel che riguarda chi come me avrebbe preferito i tempi lunghi di una disamina completa, tale da fugare ogni dubbio sul ruolo criminale di Luciano Moggi nel calcio italiano (e a Guido Rossi il mio grazie più sentito per aver rimosso definitivamente il male), o fazioso e osceno per tutti gli juventini d’Italia, convinti (io mi auguro in malafede, perché credo nell’intelligenza e ho fiducia nell’uomo), di aver subito un terribile sopruso senza avere alcuna responsabilità specifica.
Quindi potremmo sfinirci ma non possiamo, nei fatti. Ognuno arroccato sulla sua brandendo le stesse carte, un film di Totò e Peppino, non fosse terribile.
Quel che però di certo non possiamo fare è insultare la memoria di un uomo di lumi e di diritto, scrivere le bestialità che oggi leggo su bacheche insospettabili, perpetrare un clima di continua delegittimazione dell’avversario che non ha fine, che non è sport, che è veleno. È successo con una delle persone migliori dello sport italiano (Giacinto Facchetti, insultato proprio da Moggi per gli stessi motivi del suo astio con il Professor Rossi), succede con Guido Rossi e purtroppo succederà ancora.
Un amico mi ha scritto che oggi gli juventini incarnano alla perfezione la sua paura, perché continuano a fare gli juventini senza più rendersi conto di contesto e opportunità, che si pianga un morto o meno. Ha aggiunto che è dispiaciuto per loro. Altri amici, juventini, si premurano di ricordarmi gli insulti a Scirea, a Pessotto e all’Heysel. Tutto vero, cose orrende perché colpiscono una persona meravigliosa come Gaetano Scirea, un bravo ragazzo come Pessotto e umiliano le vittime di una tragedia immane. Tanto vero che li invito a scriverne, parlarne e liberarsi. Proprio come sto facendo io, proprio perché non sono solo gli animali, i leoni da tastiera e quelli senza volto né nome a insultare la memoria di una persona perbene ma ci sono tanti ma anche di uomini intelligenti e quelli fanno male. Con loro voglio confrontarmi.
Perché se abbiamo una speranza che questo gioco logoro sopravviva a noi e passi ai nostri figli, magari reincarnato in qualcosa di meglio, è tempo di metterci muscoli e faccia. Altrimenti gli spot emozionali di Sky e della Fifa sembreranno sempre più finti e ipocriti, ancora più di quanto non lo siano ora.
Oggi è morto Guido Rossi, Professore e genio del Diritto, uomo libero, interista. Tutto il resto è storia e non la cambieranno 140 caratteri pieni di veleno e inutile ferocia.
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