Evaristo Beccalossi, fuoriclasse dalla testa dispari

Di Ivano Steri

È il 28 ottobre 1979. Quel giorno si gioca il derby di Milano, Inter-Milan. A indossare la maglia numero 10 nerazzurra è un certo Evaristo Beccalossi, arrivato la stagione prima dal Brescia. È un dieci creativo e geniale, peccato che gli manchi un po’ di quella “continuità” che tanto piace agli allenatori (e ai giornalisti sportivi). Quando ne ha voglia, illumina il gioco dell’Inter con assist, giocate geniali, dribbling; quando la concentrazione non è al massimo, i nerazzurri devono rassegnarsi a giocare con un uomo in meno.

Quel giorno, in quel derby, Beccalossi è particolarmente ispirato: gioca una partita formidabile e segna una doppietta che rimarrà nella storia, soprattutto per una frase a lui attribuita (ma mai pronunciata): “Sono Evaristo, scusate se insisto”.

Sì, stiamo parlando proprio di lui, il mitico – mai epiteto fu più azzeccato – Evaristo Beccalossi.

Beccalossi nasce a Brescia nel 1956 e cresce calcisticamente nel vivaio delle Rondinelle, con cui vince il campionato Primavera nel 1974-1975. Nel 1978 lo acquista l’Inter, ammaliata dal suo talento cristallino: ha un dribbling secco, grazie al quale manda al mare spesso e volentieri gli avversari, un tocco sopraffino, una certa eleganza e una buona propensione al gol. Insomma, è il fantasista perfetto. Racconta Beccalossi che al momento della firma, non appena vide l’intestazione FC Internazionale sul contratto, firmò senza che fosse indicata alcuna cifra, tanta era la paura che ci ripensassero.

L’Inter gli affida la numero 10, un numero che inizialmente terrorizza Beccalossi, lui che si sente così provinciale, così amante del calcio come divertimento e non come responsabilità. Beccalossi trova in panchina Eugenio Bersellini, un allenatore che poco gradisce il comportamento fuori dal campo e il poco impegno durante gli allenamenti del talento bresciano, ma che apprezza parecchio la classe che mette in ogni sua giocata. “Avevo 24 anni, volevo divertirmi, in quel periodo ero troppo felice, la vita mi esplodeva intorno” racconta Beccalossi a proposito della prima stagione all’Inter.

Il successo non tarda ad arrivare: nel 1979-1980 l’Inter, squadra tutta italiana e relativamente giovane, vince uno scudetto trionfale. Beccalossi segna sette volte e si fa apprezzare per l’enorme repertorio tecnico che mette in campo.

Ma è nella stagione 1981-1982 che Beccalossi raggiunge l’apice: oltre alla solita classe, mostra una continuità – sì, ancora quella parolina magica – che raramente si era vista. Tuttavia,  la convocazione per il Mondiale del 1982 salta: Bearzot ha i suoi uomini di fiducia e non vuole stravolgere la rosa. Beccalossi non la prende bene, vorrebbe sfogarsi con il mister, ma alla fine non può che ingoiare il boccone amaro e tacere: ad alzare la Coppa del Mondo è proprio l’Italia, e che senso avrebbe attaccare chi aveva condotto l’Italia alla vittoria?

All’inizio della stagione 1982-1983 succede un altro episodio che finirà nella leggenda (e in un monologo di Paolo Rossi).
Il 15 settembre 1982 l’Inter gioca contro lo Slovan Bratislava per il primo turno di Coppa delle Coppe. L’arbitro fischia un rigore per l’Inter. Evaristo si avvicina al dischetto: è sicuro di sé, è tranquillo, viene da una lunga serie di rigori realizzati, figuriamoci se gli tremano le gambe.  
Eppure, incredibilmente, sbaglia.

Cinque minuti dopo, l’arbitro assegna un altro rigore all’Inter. Questa volta Beccalossi non se la sente di tirare, si fa da parte. Oriali, in qualche modo, lo convince: uno come lui non può sbagliare due rigori di fila. Be’, quello che appare improbabile, se non impossibile, diventa reale: “Becca” sbaglia anche il secondo rigore.
“Ero terrorizzato che i tifosi smettessero di volermi bene” – raccontò qualche anno dopo – “ma quando tornai a San Siro, quindici giorni dopo, tutti mi hanno perdonato con la serata storta”. Nel 1982 l’Inter ingaggia Hansi Müller, e cominciano i guai. Beccalossi soffre la presenza del tedesco in mezzo al campo, abituato com’è a stare sempre al centro dell’azione. I due, almeno in campo, non si sopportano: si pestano i piedi, calcano le stesse zone del campo. “È meglio giocare con una sedia che con Hansi Müller, perché con la sedia quando gli tiri la palla addosso ti torna indietro” è una delle tanti frasi di Beccalossi rimaste scolpite nella storia.

Nella stagione 1984-1985 Beccalossi passa alla Sampdoria in prestito, dove vince una Coppa Italia e un quarto posto in campionato. L’anno successivo, l’Inter lo cede al Monza, dove gioca una sola stagione. Evaristo fa in tempo a tornare nella sua Brescia, dove resta due stagioni, e a calcare i campi di serie minori (Barletta, Pordenone, Breno) prima di terminare una carriera per certi versi incompiuta, ma senza dubbio invidiabile.

Forse Beccalossi ha reso meno di quanto il suo talento gli permettesse, ma il suo nome rimarrà per sempre nella storia della nostra pazza Inter. D’altro canto, l’essenza più pura del calcio vive nei scarpini di giocatori come il buon Evaristo e, scusate se insisto, senza giocatori così lo sport più bello del mondo non sarebbe lo stesso.

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