l giallo è un colore molto evidente. Sarà per questo che si parla solo di questo, dell’episodio che ha visto Vlahovic rispondere con un gol e l’esultanza che abbiamo visto tutti a 50 minuti di insulti razzisti, gentile omaggio della curva dell’Atalanta.
E quindi stanno tutti a ragionare se Doveri abbia fatto bene o no perché insomma, c’è il regolamento ma c’è anche il buonsenso.
Però sarebbe interessante guardare anche oltre quel giallo. E andare a ragionare anche sul senso comune che, per parafrasare Manzoni, costringe proprio il buonsenso a starsene nascosto.
Il senso comune delle società, che condannano il razzismo con gli spot ma non prendono provvedimenti reali contro gruppi precisi di tifosi che non perdono occasione di rivendicare una arretratezza culturale e umana non certo da ieri.
Quello di chi si occupa di comunicazione, che preferisce discutere dell’ammonizione e dei risvolti del regolamento.
Quello di certi allenatori, che hanno minimizzato l’episodio di ieri dicendo che sì, si condanna il razzismo “però devo evidenziare che nell’Atalanta giocano Pasalic e Djimsiti. Qui hanno giocato tanti calciatori di quella etnia”, evidenziando quantomeno la comprensione per una subcultura che vuole “zingaro” un modo per insultare giocatori che provengono dai Balcani.
E poi ci sono i giocatori stessi. Nessuno che prenda mai le difese di un collega. Oggi tocca a lui, sperando che domani non tocchi a me. Ognuno è uno zingaro o un ne*ro da solo.
Tutti zitti, da sempre. Perché è meglio vedere il giallo nella mano dell’arbitro, che il nero nell’anima del calcio.
Tutti a parlare di Doveri, nessuno del dovere di ciascuno di prendere posizione.
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