Nella memoria di ognuno di noi ci sono dei sospiri. Un sospiro è emozione istantanea, è un’esperienza totalizzante, è quell’adrenalina che ti blocca e ti fa esplodere allo stesso tempo. Li mettiamo in fila come ricordi preziosi perché sono perle rare nella vita di ognuno: sono sospiri, unici, indimenticabili. Quello del primo bacio, lo senti ancora dentro. Quello che ha accompagnato la mano che ti sporgeva la patente, te lo ricordi. Lo senti ancora il respiro di quella promozione, eccome. C’è sempre un sospiro in quei momenti, è quello che dura l’infinito tempo di un momento di sospensione, quando tutto quanto gira vorticosamente attorno mentre tu sei al centro, immobile, senza fiato.
Tra quei sospiri che non si possono dimenticare c’è quello del momento in cui Diego Milito, circondato dalla difesa del Bayern, quella sera, si prese il lusso di non tirare. Il suo piede, carico per lanciare in porta un missile che ognuno di noi avrebbe voluto catapultare in quella porta, docile si appoggiò a terra. Lì iniziò il nostro sospiro, lì l’occhio e il cuore si divisero inesorabilmente: il cuore era già in porta, l’occhio invece cercava quella palla che non partiva. Avevamo già calciato tutti, chi dalla tribuna e chi in casa, chi alla radio e chi abbracciando un amico, ma non lui. Lui non calciò. Ma in quello stesso momento, in quel preciso istante, mentre a noi il sospiro mancava, a Butt mancarono le gambe. Perché mentre il nostro cuore andava in porta, i suoi piedi cercavano di mettersi su quella stessa identica traiettoria; i suoi occhi colsero invece il tradimento di quella finta, quel movimento sublime, quell’istante di poesia. Non possiamo dimostrarlo ma ne siamo certi: in quell’istante nessuno dei nostri cuori palpitò, perché il mondo intero si era fermato. E noi con lui.
Era una finta, una cosa velocissima che non tutti colsero immediatamente. Una finta richiede forza, lucidità, esperienza, grinta, acume. Una finta è un attimo, ma in quell’attimo un giocatore deve esprimere tutta una carriera. E’ il riassunto estremo, l’icona essenziale di un tutto fatto di caos e complessità. In quella finta il Principe è diventato Re, ha rimesso in ordine gli astri del cielo, ha separato il bene dal male e ci ha consegnato le chiavi del Paradiso. Centesimi di secondo dalla durata infinita separarono il nostro cuore dalla nostra mente, i piedi di Butt dalle mani di Butt, Monaco da Madrid, il nostro passato da noi stessi. Poi la liberazione, l’orgasmo, la sublimazione del tutto: quello stesso piede scavò il destino e con altrettanta rapidità lanciò il missile. A quel punto di fronte non c’era più nessuno: né le nostre paure, né il nostro passato, né un portiere, né una difesa. A separarci da quell’urlo non c’è più stato ostacolo alcuno e nessuno di noi se l’è tenuto in gola.
Il Re sarebbe diventato Leggenda poco più tardi, con un’altra finta, quella solita, una sorta di firma autentica su un’opera d’arte ormai conclusa e già eterna. Lo si legge chiaro ancor oggi in quelle immagini: Diego Milito, “Triplete”.
Oggi Diego ha compiuto 40 anni. Forse anche lui ha avuto un sospiro stamattina nel raggiungere questo traguardo. Forse ha riguardato quelle immagini, o i cimeli che conserva in casa. Forse ha fatto il punto di quel che è stato, forse si è reso conto di cosa sia accaduto. Forse anche lui ha ancora un sospiro quando vede questi colori e quando mette piede a San Siro.
Una cosa è certa: per tutti noi Diego Milito sarà per sempre il primo bacio, quel traguardo impossibile, quell’istante indimenticabile, quel momento infinito. Per tutti noi Milito sarà quella sera lì, quella finta lì, quel momento lì. Quel sospiro lì. Per sempre.
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