Non è cambiato niente, è cambiato tutto (viaggio nella mente di Spalletti dopo la prima sconfitta della stagione)

Mentre i disfattisti festeggiavano e i pessimisti facevano a gara a darsi ragione e a cercare le crepe lungamente annunciate, i più realisti tra noi ripetevano un solo ritornello, quasi l’avessero concordato: ora si vede di che pasta siamo fatti. L’obiettivo dell’Inter era chiaro prima della partita di ieri e lo è stato ancora di più dopo il triplice fischio e la vittoria dell’Udinese. L’Inter deve strappare un biglietto per la Champions League, ad ogni costo. Non è un ridimensionamento, il terzo/quarto posto sono obiettivi ambiziosi ma realizzabili, un posto al sole che ci giochiamo con la Lazio e la Roma sapendo bene che la Lazio ha meno pressioni ambientali e una rosa più equilibrata e costruita nel tempo, mentre la Roma è oggettivamente avanti di almeno due anni nella costruzione della macchina.

Il nostro unico vantaggio competitivo è che l’architetto della struttura giallorossa ora siede sulla nostra panchina e da 4 mesi cava sangue dalle rape. Luciano Spalletti ha costruito un sistema di gioco e relazionale che a luglio pareva impensabile, impossibile. Ha chiesto poco o nulla, ha valorizzato quel che aveva e ora si trova nella condizione di poter porre delle questioni sulla qualità del suo gruppo di lavoro. La partita di ieri non è una tragedia, la sconfitta ha proporzioni ingenerose e legarla alle fatiche di coppa contro il Pordenone è un puro esercizio di fantasia. Che dovessimo perdere era scontato, che prima della fine debbano arrivare altre 2/3 sconfitte è fisiologico. Di ieri preoccupa la confusione dei primi 20 minuti della ripresa, l’evidente calo fisico di alcuni nel corso della gara e la svagatezza dei soliti noti.

Su quest’ultimo punto vale la pena di soffermarsi e riconsiderarlo alla luce della presenza di Spalletti. Mentre è sacrosanto che Skriniar buchi una partita e siamo tutti convinti che si tratti di un episodio, ieri alcuni degli artefici delle ultime tragiche stagioni hanno messo in mostra il repertorio dei giorni peggiori. Indolenza, irrazionalità e incapacità di cambiare umore. Brozovic, Perisic e Candreva hanno giocato una brutta partita, la seconda di fila (Candreva a dire il vero ha costruito l’assist del gol e fa della discontinuità un’arma, Perisic ha tirato la carretta per tre mesi mentre Brozovic è sconfortante e basta). Il fatto è che quei tre sono fondamentali per il funzionamento della macchina e non hanno cambi all’altezza, data per scontata la bocciatura definitiva di Joao Mario.

I titolari calano e mancano i cambi. La società dichiara che non farà mercato. Cosa può fare Spalletti per risolvere l’empasse prima che le cose precipitino (e dalle nostre parti precipitano in fretta)? Partiamo dal presupposto che Spalletti è abituato ad ambienti caldi e situazioni complesse. Non è una sconfitta (sfortunata), con l’Udinese il problema che può fargli tremare i polsi. Fin dal dopo partita il nostro allenatore ha preso una posizione netta, ammettendo le sue responsabilità e chiamando la società a mostrare un po’ di partecipazione e vitalità sul mercato. Spalletti sa che gli 11 titolari non hanno autonomia infinta e che prima o poi Santon e Nagatomo giocheranno esattamente come Santon e Nagatomo. All’Inter manca un giocatore per reparto, un ottimo giocatore per reparto. Questo il punto di partenza. Poi c’è il profilo psicologico della vicenda. Imbattuti e davanti a tutti contro ogni pronostico, ci siamo squagliati come neve al sole alla prima occasione da legittima pretendente allo scudetto. Non è una tragedia ma un segnale. Ora ci sono tre partite chiave, due per il risultato finale e una per l’umore.

La prima, la trasferta di Sassuolo va giocata con lucidità e cattiveria, nasconde insidie enormi ed è la parte più grossa del lavoro di Spalletti. Compattare il gruppo, cercare soluzioni con il materiale disponibile (il rebus del centrocampo in primis, per Gagliardini è entrato con le energie di un novantenne e l’Inter ha perso 20 metri di campo, altre volte ha invece portato forza e gamba), chiarire una volta per tutte a squadra e ambiente che non è successo niente solo se siamo capaci di dimostrare che non è successo niente. Spalletti è uomo di spogliatoio ed è difficile che subisca le angherie e le scorrettezze dedicate da squadra e società ai suoi predecessori (Pioli, De Boer e Mazzarri sacrificati alla rabbia dello stadio e al pubblico ludibrio pur di coprire la mediocrità di alcune scelte). Spalletti ha la forza morale e la lucidità per impedire il proprio martirio, solo che deve iniziare a manovrare da ora.

La prima cosa da chiarire all’interno della spogliatoio è che quella di ieri è sì una sconfitta poco fortunata ma che ci sono responsabilità individuali e collettive molto chiare. Evitare che ci si nasconda dietro a VAR e arbitraggio, evitare che si dia troppo peso alle dichiarazioni di giocatori e allenatori delle altre squadre coinvolte nella corsa a quei 4 posti. Nonostante le iniziative folcloristiche e i berretti da Babbo natale, l’Inter sembra ancora una società fragile nella pianificazione sportiva e nella comunicazione, due fattori che caricano Luciano Spalletti di ulteriori mansioni, pesi e responsabilità. Il lavoro è enorme, il tempo pochissimo e la sequenza di impegni impietosa. Questo è il momento giusto per capire di che pasta siamo fatti, con la certezza però che chi sta in panchina è fatto della pasta giusta.

Seguire Spalletti non è un’opzione, è la scelta giusta. Speriamo che la società sappia supportarlo e isolare chi dovesse scegliere di non seguirlo, confidando nell’ennesimo naufragio per garantirsi stipendio e maglia.

One thought on “Non è cambiato niente, è cambiato tutto (viaggio nella mente di Spalletti dopo la prima sconfitta della stagione)

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  1. VANGELO!!!!Sabato ero allo stadio…smettiamo di fare i buffoni con i cappelli o gli Inter Bells e sosteniamo l’allenatore ed il progetto…perché a Deboer, Pioli, etc. è stato dato mercato…ed a Spalletti no…risicato ed autofinanziato? Perché si deve buttare alle ortiche quello che abbiamo fatto di buono?

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