di Marco Sciandrone
Un Inter-Sampdoria di tanti anni fa, della prima era Mancini.
Partita stregata, buona Inter, ma andiamo sotto di due gol.
Fino all’86esimo, quando inizia la remuntada, grazie al gol di Martins.
Subito dopo ci pensa Bobo Vieri, si va sul 2 a 2.
Ultimissimi spiccioli di gara, palla a El Chino Recoba,
Scarpini in telecronaca ordina:”Allargala su Karagounis, allargala su Karagounis”.
El Chino staffila dal limite dell’area, 3 a 2 Inter!
Quella forma di incitamento all’ultimo sforzo, quasi di preghiera – allargala su Karagounis, allargala su Karagounis –
che ha come soggetto un giocatore mediocre che non ha lasciato il segno,
riassume benissimo il mio modo di assistere (nel verso senso della parola) l’Inter.
Dai tempi delle radiocronache di Ameri e Ciotti.
Finché l’orologio non ha compiuto l’ultimo giro, l’Inter non ha ancora perso e può ancora vincere.
In maniera masochistica questa convinzione si rafforza tanto più quanto sono distanti dai fuoriclasse
i nostri giocatori – Giacomo Libera, Alessandro Scanziani, Jorge Dos Santos Filho detto Juary – solo per citarne alcuni che, nella dura vita da adolescente, ho difeso dagli attacchi dei coetanei juventini che contrapponevano Bettega, Tardelli, Platini.
Solo al triplice fischio mi arrendo alla sconfitta, vivo alcuni secondi di smarrimento, di buio, sento forte la sensazione di non riuscire a uscire dal tunnel della malinconia sportiva,
che è la versione più aggressiva della malinconia.
Invece ne esco, come faccio da 47 anni, come ho fatto ieri, al termine della sconfitta interna con l’Udinese.
E non so cosa darei per rivivere la fase di “rinascita” sportiva come facevo da adolescente, immedesimandomi in un Alessandro Scanziani per esempio (la non folta capigliatura attuale mi renderebbe più credibile di allora), e andando a tirare due calci, sotto una pioggerellina ancora più malinconica, con mio padre. Ma questa è un’altra storia.
Rispondi