Le discese ardite e le risalite

Romanzo breve di Hendrik_van_der_Decken

Nell’essenza delle cose di calcio, fare il tifoso è molto semplice: gioisci per un buon risultato, t’incazzi per uno cattivo. Fine della storia. Nell’essenza del tifoso interista, la serata dell’undici dicembre duemiladiciotto va messa nel catalogo delle incazzature potenti.

Non mi dilungherò sui punti di svolta della partecipazione dell’Inter alla CL di questa stagione, perché commentando il risultato tutto ciò che ha portato a quello è concettualmente irrilevante. Ieri sera l’Inter doveva battere il PSV: non c’è riuscita, avrebbe dovuto. Il tifoso è giustamente incazzato perché la necessaria vittoria era ampiamente alla portata della squadra che tifa.

Se quindi è il risultato che interessa colui che sta leggendo queste righe, e nient’altro, sappia che ritengo la sua incazzatura più che legittima, essendo il risultato negativo, e che il mio stato d’animo è esattamente uguale al suo.

Però poi il tifoso di calcio cerca di darsi delle spiegazioni, e quindi inizia un’analisi più o meno emozionale, più o meno accurata, più o meno profonda, di solito cercando una scappatoia legale per eliminare fisicamente i tre quarti dei responsabili, a suo modo di vedere, del mancato risultato. Ecco, a me piacerebbe mettere in prospettiva quest’eliminazione (senza fornire ottime idee a chi vorrebbe uccidere allenatore, tre quarti di giocatori e mezza dirigenza) e capire, dal punto di vista delle prestazioni, se quello di ieri sera è stato un fallimento completo oppure solo un passaggio di crescita doloroso, per quanto evitabile.

Perrispondere a questa domanda, bisogna analizzare le prestazioni. Nel calcio, avolte, queste possono essere molto diverse da ciò che dice il risultato. È il bello del calcio, è il motivo ultimo per il quale ogni tifoso di qualsiasi squadra del globo terracqueo può sognare di giocare contro il Real e vincere: non sai mai come potrebbe andare a finire: tifi per l’Atletico Puzzonia, nei pronostici ti danno 1000 a 1 contro il Real, ma poi vinci uno a zero, contro ogni logica, spiegazione e analisi della prestazione. Il calcio in fondo, non tutto ma molto, sta qui.

Ed è giusto quindi che un allenatore, figura sempre più vicina ad un manager ammesso che ne sia mai stata lontano, guardi alle prestazioni per capire se il suo lavoro stia andando nella direzione giusta, nel momento in cui il risultato non è arrivato, perché quest’ultimo nel meraviglioso mondo del pallone può davvero arrivare anche per via impenetrabili e oscure, quando tutto quello che dovevi fare per prepararti a quel momento l’hai fatto, e magari anche bene.

Le prestazioni dell’Inter 2018/19 in CL ed in campionato ci dicono delle cose molto precise, alcune buone, molte ancora negative. Le cose buone sono rappresentate dalla crescita dell’impianto di gioco, da una fluidità di manovra spesso presente che ha permesso di fare meno fatica degli anni scorsi finora incerte partite, da una rosa che è diventata un pochino più profonda e che dà alcune soluzioni in più all’allenatore, ad una certa mentalità acquisita nel tempo che ha permesso di strappare vittorie insperate all’ultimo minuto, cosa che prima non accadeva.

Le cose negative invece sono un’ancora lacunosa attenzione ai dettagli, che una volta arrivati dalle parti della cima fanno tutta la differenza del mondo tra un risultato buono e uno cattivo (e come ricordiamo tutti, la Champions è la competizione dei dettagli, José dixit); una mancanza di qualità calcistica complessiva della rosa, l’aver pagato a caro prezzo la mancanza media di esperienza internazionale dei giocatori, l’aver pagato a carissimo prezzo alcuni infortuni, l’essere stati ancora una volta grandemente penalizzati dal “voluntary agrement” firmato 5 anni fa con l’UEFA.

So che separare i risultati dalle prestazioni è un esercizio che molti trovano irritante, visto che la competizione calcistica si misura attraverso i primi, e le seconde contano solo negli sport dove ci sono dei giudici seduti a bordo campo con le palette dei voti in mano e, per i più fortunati, nel sesso. Ma in questo caso invito a tornare nei paragrafi iniziali: se la discussione gira sul risultato, il discorso è chiuso già da mezza pagina circa.

Nella teoria degli infiniti universi, c’è un universo identico al nostro dove tutto è uguale al nostro, o meglio è stato uguale fino alle 22.50 di martedì sera: dopo ha preso una piega diversa, quando l’unico cross decente di Ivan Perisic in 94 minuti di gioco è atterrato sulla testa di Lautaro Martinez, il quale colpendo la palla correttamente di fronte, e non con la tempia come nell’universo che ci è toccato in sorte, la mette dentro castigando un incolpevole Zoet e portando l’Inter agli ottavi di CL nel delirio più completo della Milano nerazzurra.

In quell’universo, questo articolo parlerebbe della gioia della qualificazione attraverso il risultato positivo, ma la parte delle prestazioni, a rigor di logica e per quanto mi riguarda, dovrebbe essere un copia-incolla di questo pezzo. Perché mentre quel solo pallone avrebbe cambiato clamorosamente il verso del risultato, non avrebbe cambiato la valutazione della prestazioni che lo hanno determinato. E certo, avrei preferito essere me in quell’universo e scrivere di quella qualificazione al 94’, ma non è questo il punto. Il mio punto è cercare di capire, se possibile, quanto questa eliminazione sia un passaggio doloroso ma avvenuto su una via promettente, oppure sia un vicolo cieco da dove dobbiamo tornare indietro per cambiare ancora strada.

Per quanto mi riguarda, gli aspetti negativi delle prestazioni in coppa come in campionato riflettono in maniera abbastanza pedissequa i limiti di questa squadra, che sono ancora parecchi almeno per quanto riguarda la competizione ad un livello più alto, che è quello al quale tutti – tifosi, giocatori, club, allenatore –aspiriamo.

Partiamo dalla mentalità, che secondo molti di noi è un elemento fondamentale da acquisire per fare certi salti di livello: prendere un gol per un errore inguardabile è cosa di sport, accade e accadrà sempre. Se accade in una partita decisiva avrà un impatto enorme sulla gara. Ma è lì che la mentalità viene fuori e deve essere il valore aggiunto alla capacità tecnica pura e semplice: se ad esempio nello scorso maggio contro la Lazio quel tipo di esame era stato passato, ieri sera invece la squadra ha dato l’impressione del panico subito dopo il gol di Lozano: la fretta e la furia di rimettere in piedi le cose per il terrore che il treno passasse senza poter essere “chiappato”, come dice Spalletti, sono state evidenti anche all’osservatore distratto delle cose di calcio.

La grande squadra, che l’Inter odierna ancora non è, prende invece un altra strada: evidentemente un gol subito da Pedro in casa contro il Barcellona in semifinale di CL dopo un quarto d’ora non compromette l’intera partita e forse l’intera stagione, ma vede la grande squadra continuare a giocare, conscia dei propri mezzi. Magari, poi, non ce la fa lo stesso, oppure con i mezzi che ha gliene rifila tre e va a Madrid, queste cose sono entrambe possibili. Ma ieri invece si è vista, oserei dire si è percepita nitidamente persino attraverso un televisore a mille chilometri da san Siro, l’assenza di quella famosa esperienza internazionale che in quei frangenti fa tutta la differenza del mondo. E certo, quei tre giocatori che sono gli unici in rosa ad essere abituati a questo tipo di gare e situazioni hanno avuto tutti un curioso destino: uno in panchina per scelta tecnica, uno in panchina perché tormentato dagli infortuni, uno in campo a commettere il disastro che ha messo la squadra nel baratro psicologico durato per quasi tutta la partita. Credo francamente che sia una coincidenza: però dà da pensare quanto meno al fatto che ce ne vogliano di più, di questi giocatori, almeno per averne di più in campo e non in panchina. Per quanto la mentalità e la leadership siano dei concetti precisi con delle applicazioni pratiche intangibili, soprattutto nello sport, non deve però essere messo in dubbio ill oro impatto concretissimo sui risultati ottenuti attraverso l’influenza diretta sui propri compagni di squadra.

Sulla limitazione della rosa preferirei glissare, ma qualcosa la voglio dire ugualmente: il tifoso irrazionale che alberga in me dice che se Spalletti avesse escluso dalla lista il terzo portiere, ieri sera sarebbero stati indisponibili Handanovic, Padelli, Di Gennaro, Dekic, Pozzer, Tintori e tutti i portieri delle giovanli fino ai pulcini C, richiamando Toldo per l’occasione. Spalletti ha escluso due centrocampisti nella compilazione della lista UEFA ad agosto, pensando di poter sopperire alla bisogna spostando qualcuno di quelli in rosa a centrocampo, tipo Skriniar, Asamoah o Candreva. La bisogna, poi, è arrivata nel momento peggiore, una bisogna eccezionalmente pesante con due centrocampisti malconci e fuori per infortunio, e lì si è visto che la limitazione delle liste è stata grandemente, ma grandemente eh? penalizzante. E qui mi fermo, perché continuo a pensare che se c’è una sola tra ben trentadue partecipanti alla CL ad avere meno giocatori da poter schierare per cause legate al FPF, mentre ci sono club con conti discutibili che tengono sotto scacco l’UEFA minacciando una NBA del calcio, l’Inter sia eccessivamente penalizzata, se non vessata. E se è vero anche che nella mentalità facile del tifoso gli assenti hanno sempre ragione, è però un fatto che l’Inter abbia fatto forse i suoi migliori 45’ della stagione cinque giorni fa con in campo Gagliardini e Joao Mario, due che non sono certo fenomeni ma che ieri sera, come venerdì sera, sarebbero stati tremendamente utili, anche se solo per colpire un palo e farci bestemmiare tutta la notte.

Conscio che quel che sto per dire mi metterà in grande minoranza d’opinione, ritengo che le maggiori cause di una qualificazione mancata (colpevolmente, non voglio essere frainteso su questo) di pochissimo siano da ricercarsi principalmente in questi due fattori: mentalità e limitazione della rosa. Perché se guardiamo le prestazioni delle sei gare giocate, vedremo che mentalità e rosa ristretta hanno penalizzato le due prestazioni-chiave del girone, vale a dire Londra e san Siro contro il PSV. Le altre quattro gare sono state, anche con un po’ di fortuna, giocate con le restrizioni della rosa che hanno avuto un impatto inferiore (i centrocampisti erano a disposizione) e con una mentalità abbastanza positiva (meno pressione del momento decisivo, quindi più facile per un gruppo inesperto) che unita ad una condizione atletica migliore avevano portato vittorie anche insperate ma non del tutto immeritate. Per me non è un caso, quindi, che questi due fattori abbiano invece altamente influito nei due match-point che l’Inter ha avuto per andare agli ottavi, nel momento in cui gambe un po’ più pesanti avrebbero necessitato di un aiuto in panchina o dalla testa di giocatori più avvezzi a certi momenti sportivi decisivi.

Attenzione: non voglio con questo certo sminuire l’importanza della assoluta necessità di avere dei giocatori di qualità più alta rispetto a chi c’è ora: chiaro che più qualità avrebbe fornito più possibilità di risolvere la situazione con una singola giocata slegata dalla prestazione, e procurare così il risultato che serviva: però quello è un fattore che abbiamo già visto anche in campionato, massimamente contro la Juve, vale a dire contro un avversario di alto livello, ed è organico alla costruzione di questa rosa. Sappiamo che l’innesto di giocatori con certe caratteristiche sarebbe rimasto altrettanto necessario anche a qualificazione ottenuta, e l’effetto dell’uscita di Politano (Politano! Se avessi scritto una cosa del genere quattro mesi fa mi rinchiudevano), unico giocatore in rosa con certe caratteristiche di rapidità unita a tecnica individuale, sia contro i bianconeri che ieri sera, dimostra che per giocare un certo livello di competizione ci vogliono giocatori di grande impatto qualitativo.

Però, senzala consapevolezza dei propri mezzi e l’abitudine a giocare certi incontriall’interno di certe situazioni agonisticamente complicate, anche la qualità avrebbe un’incidenza meno preminente.

Poteva essere evitato? Escludendo l’azione mirata sul mercato di giocatori di grande livello, i quali non sono ancora nella possibilità di questo club, a mio parere no, o comunque era molto difficile non pagare questo scotto: sette stagioni senza Champions League vuol dire un’intera “generazione” di giocatori che passa in maglia nerazzurra senza acquisire quelle qualità che sarebbero state determinanti a Londra e a san Siro; chiaramente è un discorso di media, perché poi è evidente che Icardi, Skriniar e Politano, ma anche D’Ambrosio ad esempio, hanno dimostrato di soffrire magari meno degli altri certe situazioni, ed è invece paradossale che proprio chi invece le ha vissute in numero maggiore di tutti i suoi compagni, come Asamoah, abbia poi commesso un errore madornale di quel genere. Quindi, per quanto doloroso, per me quest’eliminazione rappresenta un punto di passaggio, e non il fallimento di un lavoro iniziato (in fondo, solo) 17 mesi fa.

Questo comporta una conseguente difesa del lavoro che Spalletti ha fatto fino ad oggi, per quanto non esente da errori. Ma la strada rimane segnata ed è, anche questo sembra un paradosso, ora che si dovranno vedere i progressi più evidenti di questo lavoro: l’Inter dell’anno scorso, per tacere di quella degli anni precedenti, avrebbe da ieri sera imboccato un lungo tunnel che sarebbe finito con l’esonero dell’allenatore. Per fortuna, la scorsa stagione è invece cambiata, con un finale diverso e incoraggiante. Quel che ci si aspetta dall’Inter è vedere che questi progressi di mentalità, queste discese ardite e qualche ottima risalita, lascino il posto ad un rendimento costante, con prestazioni più solide, che diano tangibili frutti battendo Udinese e Chievo, in modo ben diverso dallo scorso inverno e dai tristi pareggi contro Crotone e SPAL; ci si aspetta un proseguo di campagna europea attraverso la meno prestigiosa Europa League che però dia corpo a questi progressi, cercando di arrivare più in fondo che si può senza eliminazioni imbecilli contro il Beer Sheva della situazione. Chiaro che qualora questo non avvenisse, bisognerebbe riflettere bene e a fondo su cosa sia quindi stato fatto nel lavoro della squadra e capire una volta per tutte come fare quel salto mentale e di qualità pedatoria ormai imprescindibile.

In ognicaso, mettere nel contesto la brutta serata di ieri sera significa, in fondo, voler trovare un motivo di fiducia nella squadra e nella società, e nei progressi –magari non veloci come tutti noi tifosi vorremmo – fatti dalla scorsa stagione.Se questi progressi continueranno e saranno tangibili nei risultati della stagione che deve ancora svolgersi e concludersi, anche questa eliminazione inizierà a fare meno male, e chissà, magari potrà essere ricordata invece come l’inizio di una storia diversa da quella pessima delle stagioni senza Champions League.

Oggi rimane il rammarico di aver quasi sovvertito i pronostici di agosto, quando in pochi pensavano di poter passare il turno. Avevano ragione, ma avevano anche torto: ed è davvero dura accettare con serenità questa cosa a solo due giorni di distanza.

2 thoughts on “Le discese ardite e le risalite

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  1. Giá dovrei essere premiato per essere arrivato in fondo alla lettura!
    In ogni caso, capisco: anche io il giorno dopo ho dovuto sfogarmi con qualcuno!
    Sono tra l’altro quasi completamente d’accordo a parte il discorso dell’esclusione dalla rosa dei 2 centrocampisti:
    Uno (Gaglia) e considerato poco più di un D’Ambrosio qualsiasi, dell’altro (JM) ad inizio stagione non volevamo nemmeno sentir parlare e, in fondo, a rivalorizzarlo é stato ancora l’allenatore.
    I conti facciamoli a maggio…

  2. A me sembra che la mentalita’ sia invece l’aspetto sul quale Spalletti ha finora lavorato meglio. Senza una mentalita’ forte non si ribalta l’1-0 in casa con gli Spurs negli ultimi 10 minuti, non si ribalta l’1-0 in Olanda con una bella prestazione, non si riacciuffa un pareggio contro il Barca in una partita in cui si era sofferto tremendamente.

    Il secondo aspetto dell’analisi che non mi convince e’ quello dell’esperienza europea. Si scrive giustamente che ad aver “tradito” son stati proprio quelli con piu’ esperienza (Asamoah, Perisic, Nainggolan, Candreva) ed il rimedio sarebbe quello di prenderne ancora piu’ gente con questo profilo? Ma servirebbe semmai l’esatto contrario, al posto dei Nainggolan bisognava andare a prendere i Barella, giovani e di qualita’, coi quali magari non si vinceva lo stesso a questo turno, ma che sarebbero stati pronti fra 2-3 anni.

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