Napoli, 3 luglio 1990.
Azeglio Vicini guarda i suoi giocatori mentre battono i calci di rigore. Tiene tra le mani un fazzoletto, tra un’esecuzione e l’altra si asciuga la fronte. Sa che usciremo. Lo sappiamo tutti che andremo fuori da quel Mondiale. Esattamente come, 10 anni dopo, ad Amsterdam saremo sicuri di andare in finale. Azeglio passeggia con il suo fazzoletto, guarda il suo vice, Brighenti. Come se non li avesse scelti lui i rigoristi. E infatti, successivamente, scopriremo che quella fu una scelta obbligata. Andarono sul dischetto i più coraggiosi e chi ne aveva ancora. Peccato che gli ultimi due non ne avevano più, e l’Italia andò fuori. Non fece sceneggiate, Azeglio. Rimase in silenzio come tutti gli italiani. Guardò i suoi ragazzi, fiero, e li ringraziò.
A distanza di tanti anni, nel giorno della sua scomparsa, ripenso a quel Mondiale. Alla dimensione epica di una sconfitta. Non fraintendetemi, il 2006 resta un evento unico, impagabile. Vincente. La gioia di Grosso, Materazzi illuminato da una luce meravigliosa mentre sale verso il cielo, l’abbraccio di Cannavaro a Pirlo. Il mio primo Mondiale vinto da tifoso (nel 1982 ero troppo piccolo). Ma quel 1990 e quella squadra, avevano qualcosa di speciale, a prescindere dalla retorica delle notti magiche. Forse è stata proprio la sconfitta a rendere unica quella nazionale. Come se il finale fosse rimasto aperto ai “se”, ad un dedalo di possibilità successive mai più realizzabili. La Nazionale di Azeglio Vicini era archetipica, nella struttura tecnica e persino nella fisionomia dei suoi interpreti. Come in quella di Bearzot c’era un portiere considerato il migliore del mondo, sebbene il silenzioso Zoff fosse stato sostituito dall’istrionico Zenga, un classico personaggio anni ’80: portiere, presentatore, show man, play boy, volto ideale di una campagna Swatch o Pop84; un marcatore rude e poco incline ai compromessi, un libero elegante, un terzino sinistro di spinta. Bello. Eccola, la perfezione della fisionomia di una squadra. E ancora, un centrocampista dai piedi buoni che non gioca in una delle tre grandi – Antognoni per Bearzot, Giannini per Vicini, entrambi principeschi – e un attaccante d’area di rigore, sempre al posto giusto.
Prima gli uomini, poi il modulo. Vicini capì che due interisti, che giocavano a uomo con il Trap, e due milanisti, che giocavano a zona con Sacchi, potevano coesistere. Il ritornello iniziava con Zenga, Bergomi, Maldini, ed era una meravigliosa canzone. Poi c’erano Ferri e Baresi, Berti e Vialli, Ancelotti e Donadoni. Persino giocatori come De Agostini, che nel club faceva il terzino e in nazionale svolgeva un ruolo insolito di mezzala. Altro che esterno alto e basso. Si può ricordare Azeglio come un Hector Cuper ante-litteram, eterno secondo e sempre sconfitto ai rigori, sfortunato fino al palo clamoroso di Rizzitelli che ci privò degli Europei, ma il nostro calcio gli deve molto di più. I successi dei club in Europa, in quegli anni, sono frutto anche del suo coraggio. Perché Vicini prese dei ragazzi di 19-20 anni, li forgiò nell’Under21 e li portò stabilmente in Nazionale costringendo i club, in primis, a credere in loro, a farli giocare, a dargli ancora più responsabilità. Fu anche per merito suo che Zenga tornò all’Inter così giovane e che Maldini non fu ceduto in prestito.
I nostri giocatori si allenarono a giocare partite internazionali in grandi manifestazioni come l’Europeo del 1988 dove talenti come Mancini e Vialli si presentarono al mondo. Per poi esplodere definitivamente nei club. I successi dalla Sampdoria e della stessa Inter si devono anche alla scuola fatta con Vicini in dieci anni di nazionale, tra Under e squadra maggiore. Capovolgendo un assunto che vuole i club forgiare i giocatori per la maglia azzurra, con lui veniva fatto il percorso inverso. L’Inter di quegli anni era una squadra che dominava in Europa (in Coppa Uefa) perché Zenga, Bergomi, Berti e Ferri erano giocatori internazionali, abituati a giocare fin da giovani ad alto livello. I loro pupazzetti dell’IP sono ancora nella mia camera di bambino, insieme al poster delle notti magiche. E allo sguardo di Azeglio Vicino che osserva fiero, nascosto dietro ad un fazzoletto.
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