Il sesto uomo (sottotitolo: Joao Mario è Karagounis meno brutto e più utile)

Di oggetti misteriosi ne abbiamo visti tanti, in questi anni. Noi interisti poi siamo esperti del tema “oggetti misteriosi difficilmente riciclabili”. Se Yuto Nagatomo è alla sua partita numero 201 – avete letto bene 201, tra poco ce lo ritroviamo tra i 20 giocatori più presenti di sempre – e Medel ha dovuto giocare, con grande attaccamento, sia alla maglia che ai maroni, per 3 stagioni piene, ogni tanto sogno di vedere entrare in campo Kondogbia, con quell’aria un po’ spaesata di chi dice “che ci faccio io qui?”. Joao Mario rischia di diventare uno di questi oggetti misteriosi qui. Titolare o riserva? Fondamentale o giocatore ai margini? E sopratutto: è un talento o un sopravvalutato?

Sia chiaro che, per sopravvalutato, si intende in senso etimologico “valutato di più“. Trenta milioni, per la precisione. Almeno dieci sono dovuti al titolo di campione d’Europa, ancora prima che per l’impatto del numero 10 sulla competizione poi vinta da Cristiano Ronaldo e compagni (tra cui anche Quaresma, toh chi si rivede, ci torniamo più avanti). Ma non è questo il tema. Frank de Boer, Pioli, Vecchi e ora Spalletti, lo hanno provato in tutte le posizioni del centrocampo. Senza mai trovare una soluzione definitiva, se non futili momenti di gloria, confusi ora dalle caratteristiche fisiche – il portoghese è longilineo, definito, ha i muscoli guizzanti del giocatore veloce – ora dal numero, prima il 6, poi il 10, più indietro, più avanti, infine dalla non continuità di un ragazzo che, chiamato in causa, ti convince che hai sbagliato a lasciarlo in panchina, e quando finalmente ha conquistato la tua fiducia ti porta a toglierlo, per la disperazione, dopo 5 minuti del secondo tempo, come successo a Bologna.

Tatticamente la tendenza più fastidiosa di Joao è quella di occupare costantemente il mezzo spazio sinistro, dove spesso incrocia uno tra Nagatomo (ahi) e Dalbert (per ora ahi anche lui)  anche quando non ce n’è bisogno. Inoltre si abbassa troppo verso i centrocampisti centrali a ricevere palla non facendosi trovare oltre la linea del centrocampo avversario. Quando invece gioca da interno tende ad andare troppo in avanti allungando la squadra. A questo aggiungete la sia tendenza a sbagliare occasioni sotto porta (vedi Crotone), la sua idiosincrasia a battere dei calci d’angolo decenti – di questo parleremo in un post a parte, c’è nostalgia persino di Coinceicao e Gergeatos – e la scarsa propensione a tirare calci di punizione agonistici e non solo quelli che si battono in allenamento per scaldare i guanti dei portieri. In un momento di sconforto, l’altra sera, sono riuscito a paragonarlo ad un altro numero 10 campione d’Europa a sorpresa a cui, guarda caso, abbiamo regalato una piacevole (certamente per lui, molto meno per noi) parentesi italiana:

Joao Mario è Karagounis meno brutto 

Sembrerebbe un quadro sconfortante, una bocciatura impietosa, ma in realtà se Karogounis aveva il grande potere di entrare a partita in corso e peggiorare la situazione, ricordo ancora un quarto di finale contro il Benfica, a Joao Mario va riconosciuta la capacità del sesto uomo. Nel basket è un ruolo atipico che distingue un tipo specifico di giocatore all’interno del roster. Croce e delizia della squadra, è il giocatore si distingue per le sue doti innate nello “spezzare” il gioco entrando a partita in corso. Spesso dotato di elevato quoziente di intelligenza cestistico – Joao Mario ha questo grande vantaggio, che al tempo stesso è un’arma contundente, della faccia sveglia – capisce subito dove sta andando la partita.

I movimenti del sesto uomo evidenziano sempre un atteggiamento di sfida nei confronti degli avversari, che tradotto in gergo calcistico vuol dire: “Joao Mario va dove cazzo gli pare, e se ci va di culo cambia la partita“. Ma Spalletti che è uomo di senno, oltre che di culo rinomato, e sta tentando in tutti i modi di trovargli una collocazione, ha forse intuito che il ruolo giusto è proprio quello del sesto uomo. In fondo tra i tanti interpreti di questo ruolo ve ne sono tre che negli anni duemila hanno fatto la fortuna delle proprie franchigie.Lamar “CandyMan” Odom. Ala grande di ruolo viene lanciato dall’allora coach dei Leakers, Phil “Zen” Jackson, come sesto uomo dall’ampia visione di gioco e dalla mano educata, rendendosi protagonista della trionfale cavalcata lacustre grazie alle sue capacità di play making in attacco, rendendo imprevedibile la manovra offensiva, e alla sua intensità difensiva.

Oppure Emanuel “Manu” Ginobli o  ancora José Juan Barea Mora, giocatore che, uscendo dalla panchina, andava a posizionarsi nel ruolo di guardia permettendo alla squadra di allargarsi, facendo emergere le doti da tre di Terry, Nowitzki e Kidd, e creando situazioni di superiorità grazie alla sua velocità. Nel centrocampo interista, che ancora non ha trovato il suo trio definitivo, Joao Mario potrebbe svolgere questo ruolo, a maggior ragione in un campionato dove statisticamente molte partite si decidono nel finale, quando la condizione fisica dei corridori inizia a calare e chi ha i cambi giusti può sfruttare doti che permettono agli attaccanti di andare in porta, anche con soluzioni molto semplici – più a vedersi che a farsi, in verità – come il passaggio di Joao a Perisic per il gol del due a zero a Crotone. Un no look che solo la fantagazzetta poteva non considerare assist. Lo so cosa state pensando: 30 milioni per un “sesto uomo” sono un investimento folle. Lo furono anche i 35 per Quaresma che in una foto ricordo sul comodino di Moratti alza una Champions in polo sociale nell’anno del triplete (non per questo ci siamo mai permessi di rinfacciarlo a Mou).

Di sicuro la continuità non è una dote del portoghese. Dopo due anni possiamo trasferire a wyscout o a chi di dovere, il dato certo che dopo due partite buone arriva la sòla di Joao Mario. Ma a farlo diventare il nostro sesto uomo, noi ci penseremmo seriamente. E Spalletti pure.

Joao Mario è Karagounis meno brutto e più utile

 

 

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