il Loggionista
In un clima da resa dei conti che nemmeno il PD renziano (capitano contro minoranze rumorose contro maggioranze silenziose), l’Inter è sempre più lo specchio del suo portiere. Samir Handanovic coccola la sua malinconica tendenza alla profezia autoavverante infilando in porta un pallone innocente, che regala al Cagliari un’altra domenica corsara a San Siro. Un autogol che racconta una nuova tappa nell’involuzione di un potenziale campione. Simpatico Samir non lo è stato mai, e ben prima di quel mantra (“Voglio giocare la Champions League”) ancora irrealizzato.
Ma forte, Samir, anzi fortissimo, lo è stato eccome. Un baluardo nelle nebbie del post Triplete. Poteva raccogliere l’eredità di Julio Cesar. Non quella umana, carica ed inimitabile. Quella sportiva: doti tecniche eccellenti, una freddezza fuori dal comune, un gran coraggio. Ci aveva illuso, nei primi anni, andando molto meglio del resto della squadra. Autorevole. Salvifico. Ma col mutar delle stagioni e la costanza di brutti risultati, anche il portierone è andato progressivamente sfiorendo: si tuffa un po’ meno, commette errori marchiani che cancellano prestazioni maiuscole (Cagliari docet), ha l’aria impigrita proprio adesso che dovrebbe trascinare compagni finalmente all’altezza. Samir ha stampata sul volto l’espressione mesta di chi sa che i tempi migliori passano, mentre aumenta il rischio di chiudere la carriera con un pugno di mosche. Per questo somiglia ad uno di quei giovani e brillanti ricercatori universitari sempre con la valigia in mano e l’incazzatura perenne nei confronti di un ateneo che non li premia. Di quelli che mai un sorriso per non rischiare di perdere autorevolezza, nonostante un CV da urlo e una voglia, dentro, che spaccherebbe il mondo. Di quelli che quando arriva il momento buono, però, sono già troppo incazzati per il pregresso e ragionano da parastatali: reduci, mai un minuto oltre il turno, più zelanti dei baroni che gli avevano sbarrato la strada. Frenati dalle circostanze. Grandi talenti ricondotti nella media. Credo che Samir abbia un incubo: essere una delle vittime più illustri di una stagione di passaggio tra i fasti del Triplete e un futuro che torna glorioso. Ma l’orologio biologico può dare ancora tregua. A 32 anni si potrebbe tutto sommato mollare il broncio, sorridere, magari provare a dare l’impressione di divertirsi. E quando si perde male, come oggi, tornare a casa a piedi come faceva Julio Cesar. Per empatizzare. Per dare l’impressione di essere un tifoso come noi, non solo uno ben pagato per fare parate spettacolari. Altrimenti resta solo quella malinconia che rischia di essere la migliore compagna dei rimpianti.
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