È un lavoro duro ma qualcuno deve pur farlo (tifare Inter ed essere ragionevoli nei giorni della tragedia annunciata)

di Enzo Sara

Tifare Inter è un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Anzi, deve saperlo fare. Dosando bene passione e realismo, entusiasmo e cautela. Prendiamo le vicende attuali. Il sottoscritto, che ha già compiuto mezzo secolo abbondante di interismo accanito e viscerale, ha sempre avuto idee chiare sulla squadra di quest’anno (idee chiare – si badi – significa convinzioni radicate e coerenti, non necessariamente “giuste” perché nessuno, specialmente in fatto di calcio, può sentirsi depositario della verità e custode del Verbo).

Eccole: in estate la dirigenza nerazzurra ha condotto una “buona campagna acquisti a metà”, se mi passate l’espressione. Una sorta di calciomercato interruptus. E così, al tirare delle somme, si è consegnato a Spalletti un organico in cui – tanto per essere drastici e quasi brutali – i titolari “veri” e affidabili sono 9 (nove). Non tutti di primo pelo (vedi Borja), né tutti di primissima qualità. Le caselle vuote sono quelle di un terzino sinistro all’altezza delle ambizioni (resta sotto molti aspetti incomprensibile l’acquisto di Dalbert), e un trequartista, tanto più se il modulo preferito dal tecnico è il 4-2-3-1.

Ora quei titolarissimi si sono ridotti a 7, a causa degli infortuni a Miranda e D’Ambrosio: tegole pesanti, che comunque si sarebbero dovute mettere in preventivo. Scriverlo adesso sembra il classico senno di poi. Ma scriverlo qualche mese fa sarebbe stato bollato come “il solito disfattismo interista”.

Rimane, comunque, la sostanza del discorso, il nodo del problema. Dove poteva e può arrivare una squadra così? La risposta appare perfino agevole: potrebbe qualificarsi per la Champions, a condizione di compiere una piccola, autentica impresa. Con Napoli e soprattutto Juventus nettamente più avanti, ci sarebbe da scavalcare una delle due romane, che però appaiono già collaudate da qualche anno e soprattutto possono contare su panchine ben più lunghe della nostra.
Il paradosso è che la classifica attuale, per la quale avremmo firmato e perfino acceso qualche lampada votiva alla vigilia del campionato, diventa motivo e fonte di delusione, frustrazione, contestazione strisciante. Almeno per una parte dei tifosi, soprattutto a livello di social network.
Certo, inutile nascondersi dietro un dito, preoccupa la prospettiva di un’altra stagione vuota, di transizione verso non si sa bene cosa. Eppure una tifoseria come quella interista, da sempre abituata a soffrire e a correre in salita fino a trovare momenti di esaltazione e a raggiungere traguardi di cui nessun altro come noi conosce il sapore, dovrebbe compiere un ultimo sforzo: non trasformare la legittima, anzi sacrosanta e indispensabile, critica per gli innegabili errori ed omissioni, commessi soprattutto a livello societario, in rabbia distruttiva e polemica deleteria che finisca per travolgere la squadra. Se cominciamo a dividerci tra quelli che è colpa di Icardi e quelli che Spalletti non ci capisce più niente (e così via), otterremo l’unico risultato di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Scansiamo in particolare la trappola dei profeti del giorno dopo, che spuntano come funghi tra gli  addetti ai lavori, mass media e personaggi dell’ambiente calcistico, e sconfessano innanzitutto se stessi, dopo aver alimentato (a seconda dei casi per malafede, superficialità o incompetenza), speranze palesemente infondate. Lo scudetto? Ma voi ve le ricordate le squadre che avevamo quando abbiamo vinto lo scudetto?
È anche a causa di questo clima che il tifoso  (non sempre freddo e lucido nell’analisi, sennò che tifoso sarebbe?), ora si trova a fare i conti con lo sgretolarsi di una realtà virtuale e a leggere l’attuale posizione di classifica non come il frutto più o meno esatto di quanto si è costruito (potuto voluto saputo costruire), in estate, ma come un flop rispetto al primo posto raggiunto con uno Spalletti costretto a spremere i pochi titolari a sua disposizione.
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Ultima annotazione a conclusione di questa disamina-sfogo. Al tecnico, personalmente, non ho granché da rimproverare, a meno che non si voglia considerare una colpa il fatto di aver tenuto l’Inter per più di tre mesi al di sopra delle sue potenzialità. Forse, però, è giunto il momento di cambiare qualcosa sul piano della sua comunicazione e di provare, beninteso senza delegittimare il materiale a sua disposizione, a stanare la proprietà. In che modo e in che misura si può intervenire per ampliare e potenziare l’attuale rosa? Ci facciano capire, poi per lui sarà più facile lavorare. È più semplice, per i tifosi, adattarsi o perfino rassegnarsi allo scenario concreto, non a fantasie costruite a tavolino.

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