L’anno scorso Yuto Nagatomo sarebbe andato sul dischetto fendendo una coltre di silenzio irreale, avrebbe guardato Perilli negli occhi e gliel’avrebbe tirata in bocca.
Non è andata così. Inter – Pordenone è una bellissima storia di calcio finita male (il sogno del Pordenone), oppure una serata da incubo finita bene grazie all’attenzione dei soliti noti e a qualche nota positiva.
Partiamo dai numeri. 31 tiri di cui 11 nello specchio, 0 gol in 120 minuti. Del tutto evidente si sia trattato di un incubo, scongiurato con grande forza di volontà. In partite come questa la forbice tra squadre di diverse categorie si assottiglia con il passare dei minuti. Quindi sì, è andata bene, ma fosse andata male sarebbe stato un monumento alla sfortuna.
Poi, troppi cambi? No, Spalletti ha fatto benissimo. La verità è che non esiste una squadra B, al limite ce n’è una A2, un misto equilibrato tra titolari e qualche (pochi), rincalzi. Che Ausilio e Sabatini ne prendano atto, se non sono troppo impegnati a celebrarsi e attribuirsi i meriti di Spalletti.
Eder non regge una partita intera e ha chiuso gli spazi vitali di Pinanomti, Karamoh è acerbo e Cancelo ha bisogno di giocare, nel primo tempo è sembrato un arnese arrugginito. Della sufficienza con cui gioca Brozovic non parliamo nemmeno più, è inutile. Bene invece Ranocchia, attento anche in partite che in altri momenti avrebbe giocato con leggerezza.
Problemi di approccio alla gara? No, mi pare una buona giustificazione per nascondere gli errori e le sciocchezze di una partita da chiudere prima, molto prima. Ma non ho visto giocatori svagati e nemmeno mancanza d’impegno. Solo che siamo questi e per vincere abbiamo bisogno di spingere allo stesso modo, che di fronte ci sia la Roma o il Pordenone.
Ridimensionati? Non scherziamo. In serate come questa conta il risultato, non la qualità e nemmeno la mole di gioco espressa (comunque e inevitabilmente enorme). Un sospiro di sollievo tiene alta la tensione, una sconfitta grottesca rovina l’ambiente.
Per chiudere: il Pordenone. Bravi, coraggiosi e accompagnati da 4000 tifosi meravigliosi. Gente che ti ricorda che il calcio è anche una festa, uno sport pieno di colore e ironia.
Insomma un po’ dispiace e molto no, perché si va avanti e non poteva essere altrimenti.
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