Caro Frank,
ti scrivo questa lettera a mo’ di supplica. E te la scrivo dal profondo del cuore, convinto che tu sia stato una delle mosse più azzeccate della dirigenza indo-cinese.
Perdonerai la mia insolenza e l’arroganza di appellarmi a te chiamandoti con il tuo nome di battesimo. Ma fin dal tuo arrivo ho avuto una naturale simpatia per la tua figura, per la tua storia di calciatore e di allenatore.
Questa mia implorazione inizia con una frase che voglio condividere con te. Credo che sia attribuibile a Leonardo Da Vinci (ma poi che importa chi l’abbia pronunciata). E più o meno recita così: “Meglio una piccola certezza che una grande bugia”.
Cerco di spiegarmi meglio partendo da una premessa.
Incontrare il Chievo la prima giornata era una iattura. Per una serie di ragioni.
Uno: Rolando Maran è un ossessivo fottuto ottimo allenatore (gli aggettivi possono anche essere disposti in modo differente, ma la sostanza non cambia), che fa giocare le sue squadre a memoria. Non ha grandi nomi a disposizione ma quelli che sono lì sanno che cosa fare e dove stare, fosse anche andare al bar per un’aranciata.
Due: all’inizio del Campionato, di solito, le “piccole” partono a mille proprio per incamerare più punti possibili con una preparazione molto spinta. Fascine per l’inverno, si dice dalle mie parti. Nella prima fase di campionato il Chievo corre, da sempre, a mille.
Tre: a Verona abbiamo sempre sofferto, anche quando abbiamo vinto. Non so perché ma è così. Il Chievo ci sta sulle palle.
Sapevo, dunque che sarebbe stata una sfida difficile. Non mi dimentico poi che sei arrivato in aereo da Amsterdam appena una manciata di settimane fa, hai avuto tempo soltanto per un’amichevole, qualche tiro in porta, due schemi, una sgambata alla Pinetina e qualche foto alle tre figlie.
Dicevamo della piccola certezza.
Noi tifosi ti conosciamo e ti stimiamo per il tuo protestantesimo calcistico, un’integrità dogmatica che predilige lo schema con quattro che difendono, tre che impostano e rompono, tre che attaccano (e difendono) specie sulle fasce. Un modulo di gioco che hai nel sangue perché sei nato nella terra dei mulini, perché hai allenato l’Ajax (che usa questo schema per far crescere in batteria i suoi giocatori), perché sei allievo di quell’indisponente e arrogante genio di Louis Van Gaal.
Ti abbiamo scelto, in sostanza, perché ci assicuravi una certa schematicità nel gioco, dopo anni di anarchia tattica. E quello vogliamo.
A noi quello praticato all’Amsterdam Arena, tarato sul possesso palla e la ricerca di una continua profondità sulle ali, anche se un filo ripetitivo, ci intriga. Non so se è una coincidenza astrale ma abbiamo, per una volta nella vita, anche i due esterni più forti su piazza (Perisic e Candreva). Perché non sfruttarli? Tra l’altro questo schema (con Banega spostato di qualche metro avanti) è stato sperimentato da te, con un certo successo, nell’unica amichevole che abbiamo fatto contro gli scozzesi del Celtic. Perché non ripeterlo?
L’uomo, il tifoso, vive anche di piccole banali sicurezze.
In conferenza stampa ti sei giustificato dicendo: “Non si può negare che oggi sia stata una giornata difficile, ma siamo all’inizio e abbiamo la possibilità di migliorare in termini di gioco e a livello fisico. Candreva titolare? Ci sono molti giocatori che al momento non hanno i 90 minuti nelle gambe e anche per questo ho scelto la difesa a tre. Dobbiamo migliorare in molti aspetti e non ho avuto molto tempo”.
Ecco. Se devo essere sincero, e qui caro Frank siamo alla grande bugia, proprio questa affermazione mi stona un poco. Se hai avuto poco tempo perché hai voluto sperimentare? Perché quella difesa a tre con interpreti incerti e spaesati quando, e vado a memoria, tu non l’hai mai utilizzata neanche su Hattrick?
La squadra che hai messo su a Verona era una sgangherata fotocopia di una istantanea già vista e presto rimossa perché troppo brutta. Contro il Chievo hai creato una formazione che assomigliava, per modulo di gioco, a quella che abbiamo sperimentato con Walter Mazzarri qualche anno fa.
Per correttezza devo dirti che non è un complimento.
Io Mazzarri lo uso al posto dell’uomo nero, come il cattivo nelle favole che racconto a mio figlio per farlo andare a letto la sera. Quella squadra era involuta, senza alcuna personalità, in perenne lotta con se stessa prima ancora che con gli avversari. Non ne sentiamo la mancanza. Perché riproporre quel fallimentare obbrobrio?
Caro Frank, la supplica allora è questa: sii te stesso, non snaturare il tuo credo, non inventarti quello che non sei, non cedere alle sirene della tattica, non italianizzarti.
Da te mi aspetto (ci aspettiamo) la birra Heineken, lo spinello regolamentato, il quartiere a luci rosse, lo Stamppot, le biciclette, il sesso libero. Da te attendo (attendiamo) né più e né meno quello che fino a questo momento hai fatto: un onesto 4-3-3. Magari con l’andare del tempo lo puoi adattare alle esigenze della squadra o delle situazioni. Lo puoi declinare diversamente, rivedere, trasformare in un 4-2-3-1 (come contro il Celtic). Ma quello avverrà dopo. Di sicuro non ora e non nella prima giornata di campionato.
Caro Frank, non puoi inventarti quello che non sei. Se per tutta la tua vita hai cucinato maiale e patate o torta di mele con panna acida, e lo hai fatto bene, non puoi trasformarti, d’un tratto, in un pizzaiolo e sfornare babà al rum.
Non puoi rinnegare il tuo io una volta messo piede in Italia.
Tu ti chiami Frank e vieni dall’Olanda. Se ti trasformassi in “Franco” non sarebbe la stessa cosa.
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Il riferimento a Hattrick è da applausi a scena aperta.