Simeone, Spalletti o Conte? L’angolo tattico

di Michele Tossani e Cristiano Carriero

Tra le poche certezze che abbiamo, nella vita, da due giorni a questa parte c’è quella che Pioli non sarà l’allenatore dell’Inter l’anno prossimo. Tra i nomi che circolano, un po’ per suggestione, molto per speranza, abbiamo scelto quelli di Simeone, Spalletti e Conte. Con il nostro tattico Michele Tossani abbiamo visto, al di là delle motivazioni e dell’attaccamento alla causa, quali potrebbero essere le varianti tattiche dei tre diversi mister.

Diego Simeone

Copertura degli spazi e pressione sulla palla sono i cardini tattici del cholismo, la filosofia calcistica che l’ex interista ha installato all’Atletico Madrid. Proprio due frasi, una pronunciata da Carlo Ancelotti in tempi non sospetti e l’altra dello stesso Cholo, spiegano meglio di tante parole la visione di calcio che Simeone ha proposto (con risultati apprezzabili) al Calderon. La prima frase, del tecnico ex milanista, ci dice che “l’Atletico Madrid gioca come giocava Simeone: duro, concentrato e perfetto tatticamente.” La seconda, dello stesso Simeone, ci spiega che “il possesso non è tutto”.

In epoca di tiki-taka e guardiolismo (concetti da tenere distinti, ché a detta dello stesso Pep non rappresentano la stessa cosa…), di possesso palla e controllo del gioco, Simeone si trova meglio dall’altra parte della barricata, cioè quando il pallone ce l’hanno gli altri…alla maniera del Mourinho interista versione secondo incontro di eliminatoria col Barcellona nella Champions 2010. Dal punto di vista del sistema di gioco, Simeone ha costruito le fortune dei colchoneros intorno a due formazioni a base 4: 4-4-2 e 4-5-1. Partendo da queste basi, Simeone chiede ai suoi uomini di pressare alto per disturbare la fase di costruzione avversaria. Qualora le squadre rivali riescano a superare la prima linea di pressione dell’Atletico, i colchoneros si ritraggono per difendere su linee di pressione più basse.

Simeone non ha problemi a difendere con un blocco difensivo basso.

Sempre dal punto di vista difensivo il pressing della squadra di Simeone è orientato più alla posizione degli avversari che a quella del pallone. L’Atletico cerca di occupare il campo coprendo il centro per poi aggredire una volta che la palla viene spostata sugli esterni. A quel punto Simeone chiede ai suoi di restare corti e streetti e di marcare tutti gli appoggi vicini al portatore di palla sul quale viene esercitata una forte pressione. Scopo ultimo di questo atteggiamento e del baricentro generalmente basso dell’Atletico è quello di impedire la giocata in profondità, alle spalle della linea difensiva. Alla fase difensiva partecipano anche gli attaccanti, compreso Griezmann, che devono sacrificarsi per coprire le linee di passaggio in verticale da difesa a centrocampo o attacco, in modo da aiutare gli interni di centrocampo e permettere loro un posizionamento più basso a protezione della linea difensiva.

La vicinanza degli attaccanti alle altre due linee di difesa e centrocampo permette inoltre a Simeone di avere già due uomini ben posizionati al momento della riconquista per favorire l’azione in contropiede. In questa ricerca della compattezza difensiva e capacità di rendere il campo più piccolo, corto e stretto per gli avversari si rivede qualcosa del Sacchi del Milan.

fase offensiva

La fase di possesso palla di Simeone non è particolarmente articolata ed è una diretta conseguenza della fase difensiva. Il possesso quindi non è una prerogativa del Cholo (48.7% di media a partita nella scorsa stagione, 49.3 in questa). Simeone non sembra amare la costruzione ragionata da dietro, preferendo invece un gioco rapido e aggressivo, fatto di continue verticalizzazioni che porti velocemente la palla nella metà campo avversaria, anche ricorrendo al lancio lungo. È chiaro che un gioco così organizzato, molto veloce, ha anche delle controindicazioni: infatti gli uomini di Simeone hanno una percentuale piuttosto bassa di precisione nei passaggi a partita (77.9% nel 2015/16, 78.9% nel 2016/17).

Quando l’Atletico è stato chiamato ad attaccare squadre chiuse, Simeone ha comunque dato preferenza ad un gioco rapido fatto di scambi sul breve fra i riferimenti offensivi, generalmente i due attaccanti e i due esterni. Questi ultimi vengono solitamente impiegati non come ali pure ma nei rispettivi centre-half, disegnando in pratica una specie di 4-2-2-2 in fase offensiva. In questa stagione, nonostante il fatto che (a detta di molti) la versione dell’Atletico Madrid proposta da Simeone sia stata la peggiore da quando il Cholo è arrivato al Calderon (2011), la squadra è comunque riuscita, rispetto all’anno scorso, ad aumentare la propria media tiri (13.6 a 12.5) e tiri in porta (5.3 a 4.4).

Chi della rosa attuale dell’Inter potrebbe essere adatto al calcio di Simeone?

Scoprire i giocatori adatti al calcio del Cholo nell’attuale rosa dell’Inter è impresa ardua. Indipendentemente da valori quali sacrifico e abnegazione (che fanno parte integrante del cholismo ma che esulano da aspetti meramente tattici come quelli descritti in questo contributo) sono proprio gli aspetti tecnici a destare più di qualche perplessità nel caso (ipotetico) in cui a Simeone si fosse trovato a gestire la rosa nerazzurra attuale.

In difesa mancano terzini abili difensivamente ma anche offensivamente per soddisfare le richieste tattiche di Simeone. A centrocampo Kondogbia e Gagliardini non rappresentano la coppia ideale per il calcio di Simeone che vuole almeno un centrocampista centrale abile nell’interdizione. Sugli esterni potrebbe essere utile Candreva che ha le caratteristiche adatte per giocare nel centre-half e per aiutare in fase di non possesso. Difficilmente invece potrebbe sperare di giocare titolare Perisic, cioè un giocatore piuttosto pigro in fase difensiva e che funziona meglio come esterno puro che tagliando centralmente dietro le punte.

In avanti, paradossalmente, Simeone potrebbe adattare meglio al suo calcio Eder rispetto a Icardi con l’italo-brasiliano più pronto al sacrificio difensivo e maggiormente portato a giocare con i compagni rispetto a quando mostrato fin qui dal capitano nerazzurro.

Luciano Spalletti

La scorsa seconda parte di stagione (dopo che il tecnico toscano è subentrato all’esonerato Rudi Garcia) e quest’annata (in verità tutt’altro che esaltante…) hanno mostrato uno Spalletti tatticamente diverso da quello visto all’opera nella precedente esperienza all’ombra del Colosseo, per non parlare del primissimo Spalletti di Empoli, Sampdoria e Udinese. Infatti, mentre il primo Spalletti romano aveva di fatto creato il falso nueve proponendo in una sorta di 4-6-0 che vedeva Totti supportato dai vari Mancini, Perrotta e Vucinic, il Luciano II ha mutuato (probabilmente da Paulo Sousa) quella fluidità del sistema di gioco nelle due fasi che, dall’Europa, ha poi preso campo anche nel nostro calcio di vertice (con il Napoli sola eccezione).

In questo senso deve leggersi l’ondeggiare della Roma spallettiana fra difesa a 3 e difesa a 4 con un cambio nel numero di uomini a comporre il reparto arretrato che avviene in fase di possesso tramite l’alzarsi di un esterno basso, solitamente Rudiger a destra.

Davanti alla difesa vengono schierati due giocatori come De Rossi e Strootman: il romano ha i compiti del pivote che orchestra la manovra nella fase di costruzione, collegando difesa a centrocampo mentre l’olandese ha maggiore licenza di spingersi in avanti lavorando come una sorta di box-to-box midfielder. Nella trequarti offensiva bisogna distinguere il lavoro svolto a destra da quello di sinistra. A destra infatti opera Salah che è più attaccante che centrocampista offensivo. L’egiziano taglia spesso verso il centro per supportare Dzeko o per cercare la conclusione personale agendo appunto come una seconda punta.

A sinistra invece stazionano Perotti o El Shaarawy che agiscono più esternamente (anche se l’italo-egiziano è più attaccante dell’ex genoano) in collaborazione con l’esterno sinistro difensivo quando questi è Emerson Palmieri (cioè un terzino più portato ad attaccare) e, soprattutto, con Nainggolan che è solito agire proprio sul centro-sinistra. In fase difensiva il 4-2-3-1 diventa un 4-4-2 solitamente attraverso il ripiegamento del centrocampista belga con Salah che, non avendo particolari attitudini difensive, tende a restare più avanzato a contrasto della fase di costruzione avversaria in coppia con Dzeko.

La maggior elasticità tattica mostrata dall’ultimo Spalletti non ha impedito al tecnico, come detto, di utilizzare anche la difesa a 3 partendo da un 3-4-1-2, come visto nel secondo tempo del derby perso 1-3 con la Lazio o contro l’Inter nella vittoriosa trasferta di San Siro.

In questo caso, in fase difensiva, l’arretramento del trequarti Nainggolan trasforma la squadra in un 3-5-2/5-3-2 con il belga che dà man forte a De Rossi e Strootman.

In generale la Roma attacca utilizzando giocate veloci fra i propri riferimenti offensivi ma non disdegnando il lancio lungo. La presenza di Dzeko permette ai Giallorossi di utilizzare la palla alta per uscire dalla pressione avversaria dirigendola direttamente verso il No.9 bosniaco, abile nel gioco di sponda (ben 7 nella sola partita contro i Nerazzurri).

I difetti

Dal punto di vista tattico le ultime interpretazioni della Roma non sono esenti da critiche. In particolare il suo allenatore sembra colpevole di una cattiva gestione della rosa. Tralasciando la questione Totti (che ha altri risvolti) e facendo comunque notare che la squadra romana non è all’altezza dell’organico della Juventus, è pur vero che ci sono dei giocatori che sono stati sotto utilizzati o utilizzati comunque in modo a dir poco curioso. Cosa dire ad esempio di Gerson, buttato in campo come titolare a sorpresa contro la Juventus e poi tornato nel dimenticatoio? Anche Grenier, al netto di un lungo infortunio, ha visto poco il campo per non parlare di Juan Jesus.

Sempre dal punto di vista tattico a Spalletti vengono anche imputati i risultati del Derby di ritorno e dei due di coppa Italia nei quali il tecnico giallorosso è stato incartato da un Simone Inzaghi che ha utilizzato sempre lo stesso sistema (3-5-2) e la stessa tattica alla quale Spalletti in tre partite non è stato in grado di trovare una contromisura adeguata.

Chi della rosa attuale dell’Inter potrebbe essere adatto al calcio di Spalletti?

Tutti e nessuno. Nel senso che Luciano è in grado di adattare il suo calcio, comunque propositivo, alla rosa a disposizione e quindi sarebbe in grado di organizzare anche l’attuale rosa nerazzurra. Probabilmente si sarebbe accorto prima del fatto che la squadra non è in grado di supportare due centrocampisti come Kondogbia e Gagliardini in fase difensiva o che la linea difensiva con Murillo, Miranda e Medel non può giocare troppo alta. Sarebbero invece utili al gioco di Spalletti Perisic e Candreva che sono due esterni con caratteristiche diverse che permetterebbero all’allenatore toscano quella fluidità di sistema trovata negli ultimi tempi a Roma.

Antonio Conte

Per dimostrare l’ossessione contiana per la tattica basti citare un episodio noto ai più. Al termine della stagione 2008/09, reduce dai successi di Bari, c’è un primo approccio fra Juventus e Conte. Costruitosi una reputazione vincente sul 4-2-4, l’allenatore leccese non vuole derogare da tale sistema. Quindi, appena il ds bianconero Alessio Secco annuncia a Conte che la Juve ha già perfezionato gli acquisti di Felipe Melo e Diego, due giocatori inadatti al gioco di Conte, l’allenatore del Bari decide di declinare l’offerta giunta da Torino. Alla Juve sì, ma a modo mio!

Così Conte, dopo le esperienze a Bergamo e Siena, si ripresenta alla Juventus a partire dalla stagione 2011/12 con un piano tattico preciso: riproporre il suo 4-2-4.

Qui però Conte mostra tutta la sua duttilità tattica. Dopo un periodo di prova col 4-3-3, Conte passa, anche per assecondare meglio la presenza di un giocatore come Andrea Pirlo a metà campo, al 3-5-2. Utilizzato in partenza come sistema a specchio per contrapporsi al Napoli di Mazzarri, il 3-5-2 diventa pian paino il sistema di riferimento della Juventus contiana (che lo alterna comunque al 4-3-3). A partire dalla stagione 2012/13 il 3-5-2 diventa il nuovo marchio di fabbrica di Conte. Del 4-2-4 restano alcune giocate come le combinazioni a due fra le punte (come quella che vede l’esterno di centrocampo servire l’attaccante più lontano per avviare uno scambio fra questi ed il suo compagno di reparto) o alcuni principi di base (come la ricerca ossessiva della verticalizzazione).

Fonte: AssoAnalisti

Di nuovo ci sono i movimenti degli interni di centrocampo a inserirsi in avanti o ad allargarsi in fascia per combinare con gli esterni alti. Esterni che arrivano a giocare in linea con le punte dando vita ad una sorta di 3-3-4 in fase offensiva che ricalca nella metà campo avversaria le giocate del 4-2-4.

Al Chelsea

Dopo aver riproposto con successo il suo 3-5-2 anche in nazionale (Europei 2016) Conte sbraca a Londra, sponda Chelsea. Lavorando inizialmente con il 4-3-3 ed il 4-2-31 Conte non ottiene i risultati sperati tanto che, ad un certo punto, si fanno insistenti le voci di un possibile esonero. Tutto cambia dalla partita contro l’Hull City. Da quel punto in poi infatti la stagione dei Blues svolta e Conte inanella una serie impressionante di risultati che lo portano ad un passo dal titolo alla sua prima stagione nella Premier.

Elemento cruciale di questa svolta è il cambiamento tattico voluto dall’allenatore italiano. Infatti proprio a partire da quella partita contro le Tigri dell’Hull, Conte vara un nuovo assetto tattico: il 3-4-3. In difesa il leccese schiera Azpilicueta, un ex terzino, fra i centrali accanto a David Luiz e Cahill. A centrocampo Alonso e Moses sono gli stantuffi esterni, abili anche a ripiegare per formare un pacchetto a 4 o a 5 in fase di non possesso palla. Davanti William e Hazard (uno più propenso al lavoro senza palla, l’altro più offensivo) lavorano al fianco di Diego Costa.

Con questo sistema Conte garantisce al Chelsea un maggior controllo della partita attraverso la creazione di quadrati che connettono l’esterno al centro del campo. Questo grazie al lavoro degli interni di centrocampo Matic e Kanté. A destra il francese si avvicina alla catena formata da Azpilicueta, Moses e William (o Pedro) garantendo una ulteriore opzione di passaggio al centrale difensivo. A sinistra Matic fa lo stesso con Cahill, Alonso e Hazard.

Nel caso in cui il passaggio ad un livello di campo successivo venga chiuso ecco che si apre l’opzione dello scarico dietro a Luiz ed il successivo passaggio all’altro centrale per un cambio di campo. Se invece c’è campo i due interni di centrocampo possono cambiare loro il campo sul lato debole dove, dopo aver sovraccaricato il lato forte con molti uomini, ci saranno presumibilmente pochi avversari e si troverà lo spazio per avanzare e giocare palla su una zona di campo più avanzata sfruttando il fatto che Hazard e William si trovano a ridosso di Costa e non troppo larghi (e distanti…) come accadeva nel 4-3-3 di inizio stagione.

È ovvio come un ruolo determinante nella fase di possesso dei Blues venga svolto dai due braccetti Azpilicueta e Cahill. Schierando tre difensori infatti il Chlesea è in grado di far uscire agevolmente la palla da dietro con i due giocatori che occupano gli half-spaces.

Conte utilizza tutta una serie di combinazioni per portare palla il più velocemente possibile nella metà campo avversaria a partire dalla ricerca del terzo uomo, come avviene nelle situazioni che vedono coinvolti centrale difensivo, esterno di parte e attaccante esterno. Proprio la posizione interna di quest’ultimo costringe il terzino avversario ad una scelta: rimanere largo lasciando pericolosamente libero il giocatore di Conte o stringere su di lui liberando il centrocampista esterno.

In fase difensiva il sistema diventa un 5-4-1 che garantisce copertura e permette di mascherare le lacune difensive di Hazard, almeno contro team che non riescono a cambiare lato velocemente perché se questo avviene dopo aver saltato alcuni giocatori sul lato destro il rischio è di non avere il belga a colmare il gap difensivo lasciato libero da Alonso se lo spagnolo è stato costretto a stringere centralmente.

La linea a 5 inoltre permette ai centrali del Chlesea di essere più aggressivi, più orientati sull’uomo, consentendo loro di sfruttare la stazza e l’aggressività che li caratterizzano.

Chi della rosa attuale dell’Inter potrebbe essere adatto al calcio di Conte?

La rosa attuale non sembra tagliata per il calcio di Conte. Mancano infatti gli esterni ed i centrocampisti centrali per replicare il sistema Chelsea. Conte, contrariamente a quanto creduto inizialmente, non è comunque un allenatore integralista e saprebbe adattarsi ad una rosa diversa. Il problema (e questo forse rientra nei limiti del tecnico salentino) è che la componente di stress fisico e psicologico che il calcio e gli allenamenti di Conte richiedono sarebbero inadatte ad una rosa indolente come quella dell’Inter attuale. Conte spreme i suoi giocatori ed è pronto ad accantonare quanti non dimostrino non soltanto la voglia necessaria ma anche la capacità di elaborare le sue richieste tattiche (ricordate Krasic alla Juve?).

Di certo più di Spalletti, Conte ha bisogno di giocatori che interpretino correttamente il suo credo calcistico. Ma questi aspetti, come sottolineato per Simeone, esulano dalla presente analisi.

 

 

 

 

 

 

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