Sono giorni complicati per chi racconta il calcio, inutile cercare di sottrarsi al dibattito che condizionerà tutta la stagione: pro o contro il/la VAR? Anche per noi che usiamo un tono leggero e scanzonato non c’è via di scampo, tocca schierarsi o almeno affidarsi a un parere nobile. Ci sono tanti telecronisti competenti e poi c’è Flavio Tranquillo, giornalista e narratore romantico del basket fin dai tempi in cui l’NBA arrivava in Italia troppo di rado, come una conquista impossibile, filologo del basket e della sua danza intelligente. Flavio è anche e soprattutto uomo di sport e di regole, uno dei pochi a voler leggere ancora il gioco secondo le regole di un’etica inflessibile, a mantenere la schiena dritta. Abbiamo chiesto a lui come affrontare la nuova eppure già annosa questione del/della VAR (e non solo).
Che si chiami il VAR o la VAR, l’ingresso della tecnologia nella cassetta degli attrezzi degli arbitri italiani ha sconvolto il calcio. Troppo presto o troppo tardi che fosse, l’impressione è che nessuno abbia davvero capito il senso profondo dello strumento: alleviare il compito degli arbitri e avvicinarsi a un metro di giudizio obiettivo ed uniforme. Perché fatichiamo così tanto quando si tratta di regole?
Beh, il discorso sarebbe leggermente più ampio… Diciamo che si può fare meglio da almeno due punti di vista: 1) Separare i principi generali dalle modalità di applicazione (se i primi sono condivisi, poi le seconde si possono affinare nel tempo), e 2) Capire che l’errore umano è parte del gioco e parte rimarrà, ma non per questo bisogna rinunciare alla possibilità di cancellarne il maggior numero possibile.
Buffon considera il VAR come qualcosa di antitetico allo spirito del calcio e come tomba dell’indipendenza arbitrale, Rudi Völler dice che è senza senso e mette in dubbio la qualità degli analisti dietro al monitor. Fanatismo conservatore o c’è qualcosa di vero?
Hanno una sensibilità (cit.) per il calcio che io non ho, per cui presumo che qualcosa da salvare nelle loro posizioni ci sia. Nessun arbitro degno di questo nome però vuole essere libero di sbagliare. Tutto sta a delimitare bene il perimetro. La mia esperienza con gli arbitri di basket è che loro addirittura scalpitano, ed in Europa qualche volta ci riescono anche, per utilizzare lo strumento OLTRE quel perimetro. Se anche loor lo vedessero come un danno, un freno o un’umiliazione capirei, ma è proprio il contrario.
Il basket lavora da tempo con le immagini in tempo reale. Esiste un criterio di applicazione uniforme o anche da quelle parti si contesta la mano che manovra la moviola?
L’operatore è a diretto contatto dell’arbitro (Europa), o dei supervisori degli arbitri (NBA). Questa fola dell’immagine taroccata è incredibile e tribale. Un’immagine è un’immagine, stop. Nessuno può contrabbandare una cosa per un’altra. Tutto diverso discorso è l’uso che di una immagine viene fatto ai fini valutativi. Qui conta la sensibilità dell’arbitro, che deve vedere tutto e poi farsi un’idea. Mille volte nel basket una cosa vista da un’angolazione sembra X e da un’altra angolazione sembra Y. Non perché c’è il tarocco (???), ma perché le prospettive sono vecchie quanto il mondo e le situazioni del campo sono variegate
Non trovi che il problema stia a monte? Una Lega debole non sa o non ha interesse a scrivere regole che tutelino l’integrità del gioco (e del prodotto)?
Certamente è così. Mi pare di capire che si è voluto dare in pasto al popolo che lo richiedeva l’uso della moviola (nel senso biscardiano), che elimina gli errori. Trovo sacrilego che si possa parlare di moviola, cioè di portare le sfinenti discussioni sul sesso degli angeli in una sala video collegata con l’arbitro. Questo non è possibile, ed è per questo che trovo bizzarro si possa utilizzare lo strumento per valutazioni completamente judgmental come rigore/non rigore,. Fuorigioco attivo/non attivo, ecc. Questo non è Instant Replay, ma arbitraggio elettronico.
Nel basket italiano rimane un solo big spender e lentamente spariscono gli avventurieri, puniti da tribunali e applicazione più rigida di paletti e limiti. Così la provincia torna ad avere un ruolo e i palazzotti si riempiono. È un modello vincente o solo la sparizione delle api prima della catastrofe?
Non è un modello vincente, poco ma sicuro. Cosa sia, dovresti chiederlo a chi è dentro, io da fuori non saprei descrivertelo se non come “non sostenibile”
Conoscendo lo sport che racconti fin nelle sue più piccole sfumature, riesci ancora a divertirti?
Molto più di prima
Negli ultimi tempi abbiamo letto alcuni tuoi sfoghi amari e molto duri sul tema delle aspettative e dei risultati, della condanna degli sconfitti e della mancanza di rispetto per il lavoro svolto. Tutto ruota intorno al concetto di etica nello sport e dello sport. Esiste ancora?
Sempre meno, ma esiste. O forse sempre più, perché vederlo negare tanto provoca anche una reazione. Di certo il problema c’è sempre stato, passatismo e reducismo sono fuori luogo, e pure molto
Hai inventato un modello di racconto dello sport, la narrazione in tempo reale, lo storytelling dentro alle partite e quel modello è diventato prima una moda e poi un’ossessione per i cronisti di altre discipline. Te lo aspettavi?
Non ho inventato alcunchè, come altri della mia generazione ho lavorato sui limiti dei predecessori e abbiamo trovato dello spazio. Spero che presto altri facciano lo stesso con noi, c’è spazio e molto.
Quanto è importante conoscere gli atleti e le loro vite per riuscire a descriverne le caratteristiche tecniche?
Decisivo, posto che sostituirei “conoscere” con “avere una visione più ampia”, perché “conoscere” mi pare troppo ambizioso
Spesso ti leggiamo amareggiato per le accuse di faziosità (gratuite), che ti rivolgono gli spettatori-tifosi. È un danno inevitabile, un bug del sistema, o pensi che perseverando nel bene si possa educare all’obiettività?
L’obiettività non esiste, io sono il meno obiettivo di tutti. Può però esiste una scelta consapevole di anteporre il proprio dovere professioanle alle altre considerazioni. Riuscendoci sempre con grado variabile per la umana fallibilità, è chiaro. Da qui a pensare di saper interpretare pubblicamente quel che fanno gli altri sulla base di chiacchiere spesso interessate ci passa un Oceano. Non è una questione personale di merito, ma una generale di metodo. E se è permesso, ma anche se non lo è, che siccome siamo “personaggi pubblici” (ahahaha, come Belen) e allora dobbiamo sopportare che la nostra professionalità venga messa alla berlina “perché così fan tutti”, io non la accetto.
Che ruolo hanno i social nel tuo lavoro, quanto ti influenzano i giudizi e i suggerimenti che arrivano dalla rete?
Influenzano come le amicizie, simpatie, antipatie, conoscenze, ecc. Non ne posso fare a meno perché farei peggio il mio lavoro, come lo farei peggio se trattassi giocatori e allenatori con distacco per paura di avere emozioni verso di loro. Con il tempo ho maturato l’idea che si debba provare a tenere lontano tutto e guardare solo agli episodi ed ai contesti, cercando di raccontarli per come li si vede. Come dovrebbero fare gli arbitri, ma noi in diretta non abbiamo il VAR…
Quali sono le tue letture online di riferimento (blog sportivi, pundit, raccolte di dati)?
Uno zibaldone di cose, sperando di trovare qualità nella quantità.
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