È il 6 ottobre 1957, la Serie A è giunta alla 5a giornata, a Milano si gioca il derby. Al 90′, il risultato premia l’Inter per 1-0. La partita sembra finita quando succede il fattaccio: Schiaffino e Bernardin si scontrano nell’area dell’Inter e l’arbitro Lo Bello assegna il rigore al Milan. I giocatori dell’Inter protestano con veemenza, tranne uno che si avvicina alla panchina per dissetarsi. Insieme all’acqua, i dirigenti gli passano mezzo limone.
Quel giocatore è notoriamente un furbo di tre cotte, non a caso lo chiamano “Veleno”. Mentre arbitro e giocatori sono distratti, “Veleno” mette quel mezzo limone sotto il pallone, già sul dischetto.
Quando il milanista Tito Cucchiaroni si avvicina per calciare il rigore, i tifosi rossoneri lo mettono in guardia: “Occhio al limone!”. Lui non sente, oppure è troppo concentrato sul rigore per dare retta alle urla dei tifosi.
Cucchiaroni calcia: il pallone finisce alle stelle, molto, molto alto sulla traversa. I giocatori nerazzurri esultano, quelli rossoneri protestano, Veleno, sempre lui, pensa bene di calciare via dal dischetto il limone residuo. Poi si infila a testa bassa nel tunnel e sparisce, a tutta velocità.
Il protagonista di quell’evento, oltre a un soprannome, ha un nome e un cognome: Benito Lorenzi.
Benito Lorenzi nasce a Borgo a Buggiano, piccolo paese in provincia di Pistoia, il 20 dicembre 1925. E proprio nel Borgo a Buggiano tira i primi calci al pallone e si afferma come giocatore. Benito attira l’attenzione dell’Empoli, che lo acquista nella stagione 1946-47 per sole 100mila lire.
A Lorenzi basta una stagione in B per suscitare l’interesse dell’Inter, che nel 1947 lo acquista dai toscani per la cifra di 12 milioni di lire. Benito ha un soprannome che si porta dietro dall’infanzia, Veleno, datogli dalla mamma per la sua vivacità. I giornalisti se ne appropriano, e lui non fa nulla per smentire quell’epiteto: nel 1947, contro la Juve, appena approdato in nerazzurro, non solo segna una doppietta, ma schernisce gli avversari tanto che Rava, ruvido (e forte) stopper bianconero, tenta di sferrargli un pugno. Benito lo evita e il pugno arriva dritto in faccia a Quaresima, che va ko.
Di episodi simili è costellata la carriera di Lorenzi, che non solo si rivela un attaccante implacabile, capace di gol decisivi, ma anche un provocatore impenitente (nonostante la fortissima fede cattolica). Chiama “Marisa” lo juventino Boniperti, tenta di provocare John Charles definendo la Regina d’Inghilterra “una donna di facili costumi” (senza sapere che Charles è gallese, oltre che un gigante buono), addirittura, in un’occasione, tira un pugno a Stefano Nyers.
Anche in Nazionale fa le bizze: è restata nella memoria collettiva il calcio rifilato all’arbitro brasiliano Viana durante i mondiali del 1954, in Svizzera. “Come al solito dissero che ero stato io” – si giustificò – “sì, qualche calcio glielo sferrai anche io, ma ero uno degli ultimi, gli altri lo avevano già spintonato, scalciato, se lo meritava”.
Nonostante gli atteggiamenti… velenosi, in nerazzurro lascia ricordi indelebili. All’Inter resta fino al 1958; memorabili le stagioni 1952-1953 e 1953-1954, quando con i nerazzurri conquista due scudetti ai danni della Juve. Quella squadra poteva contare su fuoriclasse come Skoglund e il già citato Nyers, grazie ai quali Lorenzi mette in mostra le sue doti migliori: senso del gol, caparbietà, forza fisica e… furbizia ai limiti del regolamento (oltre alle provocazioni verbali, era solito strizzare gli “attributi” degli avversari).
Con la maglia nerazzurra, oltre a vincere due scudetti storici, ha segnato 143 reti in 314 gare: numeri eccezionali per un giocatore che, a suo modo, eccezionale lo è stato davvero.
Veleno alla milanese: Benito Lorenzi

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