Di Petr Aledefelovsky (giornalista ceco)
Il clima rigido ci concede una tregua. Siamo pur sempre ad agosto! Splende il sole su Praga e oggi il mio outfit è casual come al solito: maniche corte e classico jeans. Il calendario segna il 26: non è un giorno come gli altri. No, perché nonostante la cocente delusione della mancata qualificazione ai gironi di Champions League, come ogni volta sono emozionato. Mi sale l’adrenalina. “Chi incontreremo? Dove andremo? Quali avversari ci aspetteranno”. Oggi c’è il sorteggio dei gironi di Europa League, una competizione diventata negli ultimi anni sempre più affascinante. L’urna di Nyon mette a disposizione un’ampia gamma di avversari, dalle “giovani leve” a club storici; cittadine sperdute qua e là e metropoli, costrette a doversi accontentare temporaneamente dell’Europa meno nobile.
Storie leggendarie, miti e partite memorabili. Chi nasce come me nel quartiere Letná, distretto residenziale di Praga 7, non può non cresce a pane e ‘fotbal’. Qui, dal 1893, portiamo avanti la tradizione dello Sparta Praga, il club di mio padre, di mio nonno e del mio bisnonno. Il club più vincente della storia del calcio ceco, che orgogliosamente porto con me dal lunedì al sabato nel mio quotidiano; poi c’è la domenica, il “giorno dello Sparta”, in cui seguo sempre quella maglia granata, che sia dal vivo o in tv. Il campionato ceco, il nemico sportivo di sempre con la maglia stellata a strisce verticali bianche e rosse (lo Slavia, mi provoca fastidio solo nominarlo), il Viktoria Plzeň e il suo exploit degli ultimi anni che ci ha di fatto tolto lo scettro di squadra regina del Paese. E poi c’è l’Europa, più o meno nobile. Quest’anno, ad ottobre, ho spento 25 candeline e in tutti questi anni non ho fatto altro che ammucchiare conoscenze su quel maledetto sport.
D’accordo, prima la scuola, poi il lavoro, una vita frenetica. Ma mio padre mi ha trasmesso quella maledetta passione fino a farla diventare un’ossessione. Lui mi ha fatto conoscere la storia della Sparta, di cui ricordo alcune formazioni a memoria e molti nomi, associando annate e calciatori, ma mi ha anche insegnato che non basta conoscere il proprio club. Per questo la mia passione mi ha spinto a informarmi, studiare, ricercare e conoscere tanto della Repubblica Ceca calcistica e non solo. Una memoria di ferro, ma solo se si trattava di date di partite storiche o anno, mese, giorno e luogo di nascita di un grande campione. Le tabelline no, non le ricordavo proprio!
Finiamo nel Girone J, con l’Hapoel Beer Sheva. Poi? Il Southampton, squadra ambiziosa, ricca di giocatori interessanti e soprattutto un tecnico all’avanguardia. Il “football inglese”, il fascino del calcio d’Oltremanica. Manca però l’avversario sulla carta più interessante. Quello della prima fascia. A casa mia siamo tutti davanti alla tv, col fiato sospeso. C’è mio padre, che ormai ha abbandonato la vita da ‘viaggiatore granata’ preferendo la comodità del divano dopo molti anni di aerei, alberghi e trasferte da un confine all’altro dell’Europa; accanto a lui mia madre, anche lei coinvolta e di conseguenza interessata; il mio fratellino, che ha solo 9 anni ma già programma di girare con me l’Europa con la sciarpa dello Sparta al collo e il nostro simbolo con su scritto “AC Sparta Praha 1893” e ci sono io, che da quando ho iniziato a seguire la squadra in trasferta sogno a occhi aperti. Sì, perché cosa c’è di meglio di viaggiare, conoscere, visitare e nel contempo seguire le gesta del tuo club del cuore?!
“No, non ci credo”. Non credo ai miei occhi. “F.C. Internazionale”. Milano, il Duomo, lo Stadio Meazza, i nerazzurri. Sembra di sognare. Uno messaggio whatsapp sul gruppo “Sparta Forever”, le conferme immediate dei miei amici. Ci fiondiamo subito a prenotare il biglietto aereo. Non posso mancare. L’Italia, terra di arte e cultura. Luogo di conquista per molti miei connazionali. Milano e la Lombardia, posti esplorati da un mio famosissimo concittadino. Si chiamava Franz, di cognome Kafka, ed è diventato uno degli scritto più celebri della letteratura mondiale. È solo il 26 agosto ma la mia testa è già all’8 dicembre, data della gara di San Siro. L’ultima della girone.
José Mourinho e il suo Triplete. L’ultimo tassello di una storia ultracentenaria ricca di titoli e personaggi indelebili del calcio mondiale. Sono giovane e quella del 2010 è l’unica impresa che ho visto con i miei occhi (dalla tv). Ma nel mio database non mancano di certo l’invincibile squadra di Herrera, Giacinto Facchetti, Ronaldo, Sandro Mazzola e Angelo Moratti, padre di Massimo. Storie in bianco e nero e a colori, che dal lontano 9 marzo 1908 rappresentano una colonna portante del calcio italiano. Non a caso l’Inter è l’unica squadra italiana a poter vantare tutte le partecipazioni al campionato di Serie, non essendo mai retrocessa.
103 giorni, 2472 ore, qualche centinaia di miglia di minuti dopo il viaggio ha inizio. Non è stato facile attendere, ma finalmente il momento è arrivato. Aereo da Praga a Milano Malpensa. Sistemazione in albergo e si parte. Non può mancare la sciarpa gialla e rossa al collo, perché nonostante tutto sono qui per difendere i colori della squadra del mio quartiere. La prima destinazione è Piazza del Duomo, poi la Galleria Vittorio Emanuele II con i suoi lussuosissimi negozi, il Castello Sforzesco, la Pinacoteca di Brera e tanto altro. Io e miei compagni di viaggio scopriamo inoltre che proprio oggi, 7 dicembre, è la festa di Sant’Ambrogio, il santo protettore di Milano. L’intera città si ferma e si riversa nelle strade per festeggiare il proprio patrono. C’è anche un mercatino eccezionale, che su internet definiscono la “Fiera Obei Obei”, anche se non bene cosa significhi. Serata in un pub e dopo una notte tranquilla finalmente arriva il giorno della partita.
L’attesa sale. Non c’è nulla in palio se non l’emozione di entrare in uno degli stadi più belli e famosi d’Europa e dell’intero Pianeta. A Milano ci sono appena un paio di gradi, ma l’atmosfera è scaldata dalle migliaia di persone che invadono il centro della città per i primi regali di Natale. 8 Dicembre, l’Immacolata Concezione. Non si lavora (ma non ditelo ai commessi dei negozi, costretti agli straordinari). Un altro giro in città fino alle 18, quando scatta l’“Ora X”. Metro M1 fino a Lotto, poi cambio sulla M5 Lilla fino al capolinea, San Siro – Stadio Meazza. Un paio di rampe e mi trovo davanti l’immenso impianto. Un colosso rispetto alla nostra Generali Arena, che può contenere esattamente un quarto degli spettatori di San Siro (20.000 vs 80.000). Qualche attimo di puro stupore. Stento a crederci, resto a guardare la bellezza di quella struttura, che inconsciamente collego direttamente a tutte le storie a tinte nerazzurre.
Momenti di sport ed emozioni allo stato puro. Brividi che mi attraversano la pelle. Ma non c’è tempo: voglio entrare, subito! Voglio vedere che effetto mi fa cantare “Sparta Praha, Sparta Praha” su quegli spalti lì, davanti alla Curva Nord. Un aspetto che mi ha sempre colpito dei vari movimenti calcistici è proprio quello del tifo, con le varie sfaccettature che cambiano di paese in paese. L’Italia non può che rappresentare un modello, con il calore (forse anche eccessivo) dei tifosi verso i propri colori. Ma pensandoci bene anche noi dello Sparta siamo così, viviamo per il giallo e il rosso e quello stemma che dal 1893 rappresenta il nostro quartiere e la nostra città.
Il Gate 10 è illuminato. La scritta in movimento recita “Sparta Praha Fans”. Intorno a noi gli agenti di polizia, che controllano il normale svolgimento dell’ingresso. Finalmente si entra; un controllo, passo il tornello, poi un altro step identificativo. Sono dentro. Inizio un lungo percorso in una ‘torretta’, struttura a spirale che mi permette di raggiungere il Terzo Anello Blu, che ci ospita. Salgo le scale e mi trovo davanti… solo uno striscione. Una lunga scritta, nient’altro. Fatico a comprendere il significato, poi ho un lampo. In metro ho conosciuto un ragazzo ceco che studia Medicina a Roma. Anch’egli tifoso dello Sparta. Mi faccio tradurre lo striscione: “4 sconfitte in 5 partite… Questo è quello che vi meritate per il vostro impegno indecoroso. Vergognatevi”. No, i tifosi dell’Inter sono davvero arrabbiati. Ho strane sensazioni: a giudicare dalle parole non entreranno.
Noi cominciamo a cantare e bere birra. Mi fermo un attimo a pensare e mi chiedo: com’è possibile che un club di caratura mondiale come l’Inter possa non avere la curva in una partita europea? Devono essere davvero incazzati per disertare questo match, nonostante valga poco più di un’amichevole. Conosco bene i tifosi dell’Inter e li seguo da un po’. Nonostante periodi bui non hanno mai lasciato la loro squadra e il loro stadio nelle mani degli ‘ospiti’. Ma stasera comandiamo noi. Sì, siamo a San Siro ma sembra di giocare in casa. C’è entusiasmo: la nostra squadra ha sbaragliato la concorrenza agguerrita vincendo il girone di Europa League. Eppure sento dentro di me qualcosa di strano. Soffro l’assenza della curva avversaria. 104 giorni fa ho prenotato un biglietto d’aereo per godermi uno spettacolo che non c’è. Si, d’accordo, la partita e i nostri ragazzi. Ma ci tenevo a vivere da vicino il calore della curva nerazzurra.
“Lascia dormire il futuro come merita: se lo svegli prima del tempo, otterrai un presente assonnato”. Il mio concittadino Franz Kafka non sbagliava mai! La voglia di affrettare i tempi e alcune scelte scellerate hanno portato l’Inter all’eliminazione dall’Europa League e una modesta posizione al centro della classifica. Poco, troppo poco per chi è abituato a lottare per i vertici. La squadre necessita di tornare a essere grande. La Grande Inter di Herrera, quella del Triplete del 2010 e i grandi campioni che hanno vestito la maglia nerazzurra: ricordi indelebili del calcio italiano. Ma c’è bisogno di scrivere nuove pagine di storia, al più presto.
Alla fine il risultato ci condanna. Poco male, siamo primi e lunedì ci aspetta un nuovo sorteggio: di nuovo incollati davanti alla tv, di nuovo quella tensione e una nuova metà da scoprire. Lo Sparta ha perso, ma che importa! Abbiamo giocato alla “Scala del Calcio”, in uno degli stadi più famosi del mondo. Una serata sbagliata, in cui i tifosi hanno scelto di scioperare disertando il loro palcoscenico per dimostrare che bisogna tornare a “fare spettacolo” di livello mondiale il prima possibile. C’è una storia da rispettare, una tradizione lunga 108 anni.
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