Responsabilità e appartenenza (ovvero come fraintendere Spalletti anche quando non si dovrebbe)

Capire Spalletti quando affronta un discorso qualsiasi sul calcio è un’impresa difficoltosa, lo abbiamo scritto più volte. Le mille digressioni, qualche neologismo tirato fuori qui e là (il “serpentesco” con cui oggi ha definito Icardi però è mondiale), le parole a profusione che fuoriescono dalla sua bocca quando gli si fa una qualsiasi domanda, l’eloquio forbito misto a una cadenza quasi ipnotica con cui scandisce le parole: ogni conferenza stampa è una specie di flusso di coscienza, con giornalisti e tifosi che in quei momenti provano a improvvisarsi ermeneuti per cercare di ricostruire il significato dei pensieri espressi dal tecnico di Certaldo.

L’impossibilità di sintetizzare un concetto e renderlo più accessibile in Spalletti è quasi patologica, tanto da creare dubbi sulle sue dichiarazioni, anche quando sembrano più chiare e meno assoggettabili a interpretazioni sballate.

E così, quando nel post partita di Crotone, in mezzo al solito mare magnum lessicale è comparso un “a me quello che è successo l’anno scorso non è andato bene. Perché ero l’allenatore dell’Inter anche l’anno scorso“, immagino che qualche faccia perplessa sia comparsa.

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Ma non era a Roma l’anno scorso, a battagliare con stampa e tifoseria e a lottare per il secondo posto con il Napoli di Sarri? O al posto di Pioli, mascherato da una barba più lunga di quella portata di solito, c’era proprio Luciano (con un suo sosia nella Capitale, uno che in ogni caso gli somigliava parecchio)? O magari si è trovato nella testa di Pioli dopo aver trovato un passaggio segreto a Trigoria, tipo il personaggio di John Cusack in “Essere John Malkovich“.

Lasciando da parte queste ipotesi a metà tra la fantascienza e il fantasy (affascinanti eh, ma un tantino improbabili), qualche interprete meno avveduto ha pensato che Spalletti avesse ammesso di avere già un qualche tipo di accordo con l’Inter da molto prima dell’addio alla Roma.

Ovviamente non è così. Quelle parole invece fanno capire tanto del lavoro che quest’allenatore sta facendo all’Inter e dei risultati positivi ottenuti finora. Anzi, molto probabilmente sono la sintesi migliore fatta dei suoi primi 3 mesi e mezzo di lavoro.

Spalletti si è preso carico anche degli errori passati, quelli di cui non ha colpe ma che deve cercare di eliminare, e in qualche modo ha voluto ribadire quanto il senso di appartenenza al club sia fondamentale. Lo stesso senso di appartenenza invocato già nel giorno della presentazione, quando disse che “senza appartenenza non ci possono essere risultati nel calcio, devo assorbire tutto ciò che è Inter, i calciatori devono sentire che Inter è una cosa importante“.

Assorbire tutto ciò che è Inter significa anche confrontarsi con quanto di negativo si è visto in questi anni, non solo con una storia gloriosa. Spalletti si è assunto un carico di responsabilità ulteriori rispetto a quelle che gli spetterebbero, quelle stesse responsabilità che devono assumersi anche i calciatori.

Quelli che c’erano l’anno scorso sono stati artefici del disastro e quest’anno sono ancora a Milano non devono pensare che sia tutto dimenticato, niente “scurdammoce o’passato, simmo e Napule paisà“.

Nessuno deve avere l’alibi della rifondazione post settimo posto: ai reduci non vanno rinfacciati continuamente i fallimenti, ma neanche va fatto pensare loro che l’Inter dello scorso anno sia stata messa alle spalle definitivamente. Basta poco per ricadere nei vecchi vizi.

Lavoro sul campo, responsabilità, appartenenza: la costruzione di un’Inter vincente passa da qui, senza bisogno di interpretazioni fantasiose.

 

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