Mircea io vorrei che tu Ronnie e io

Ti odiai. Ti amai. Alla fine non ci capimmo, perché il tempo è un vigliacco, e spesso è poco. E poi c’è il confronto, il maledetto confronto con che c’era prima e con chi doveva venire dopo. Stretto in una morsa ingenerosa, ingiusta, tra il buon padre di famiglia Simoni e lo yuppie Lippi, tra i rimpianti per ciò che non si era vinto e le promesse di un futuro pieno di gloria. Mircea Lucescu, all’Inter, ha lasciato poco. Ricordo ancora la faccia che feci quando un amico mi annunciò la notizia: “È stato esonerato Simoni, arriva Lucescu“. Lucescu? E perché Lucescu? Non riuscivo a capire, era una scelta completamente insensata, e il campo l’avrebbe ampiamente dimostrato. Il campo di San Siro, però.

Perché altrove Mircea avrebbe fatto benissimo, facendo giocare una squadra ucraina come una brasiliana. La sua ossessione, il Brasile del 1982. Il più bello, perdente della storia. Il più felice e al tempo stesso il più malinconico. Di Lucescu ricordo proprio l’espressione malinconica. Il volto segnato di chi ne ha viste tante. La grande occasione non sfruttata, il suo rapporto con Ronaldo.

Con Simoni le cose erano diverse: “Ci siete voi che siete una squadra, vi allenate, date il massimo, e poi c’è lui“. Patti chiari, fin dall’inizio. Lucescu non era di quell’avviso e fu uno dei primi ad accorgersi che il Fenomeno “preferiva la discoteca al campo”. Questo gli precluse la stima di Moratti, e di gran parte del gruppo. Che era un gruppo fortissimo, forse addirittura più forte di quello che l’anno prima vinse la Coppa Uefa e arrivò secondo (gli almanacchi dicono questo) in campionato. Solo che non aveva voglia di mandare a memoria gli schemi del maestro, di applicarsi, di sacrificarsi per un santone che presto sarebbe tornato a casa. Tanto valeva risparmiarsi per Lippi, e fu così che assistemmo ad un non campionato, con la squadra che in pratica si rifiutò di giocare. Ma quando di mezzo ci sono i campioni, la Champions diventa un’altra storia. E non c’è Lucescu che tenga.

Ricordo due episodi di quella annata dimenticata dai più. Nel nostro girone c’era il Real Madrid, scherzato a San Siro da Baggio in uno dei dipinti più belli di fine secolo, lo Spartak Mosca e lo Sturm Graz. Proprio in Austria si giocò l’ultima partita, quella che consegnò all’Inter il primo posto nel girone. Quello che sfrecciava sul ghiaccio del Prater non era il Ronaldo che danzava nel fango di Mosca un anno prima nella semifinale Uefa, ma era ugualmente un gran bello sfrecciare. Se ne accorse Lucescu, la squadra che per la spedizione europea aveva dimenticato il complotto e se ne accorse persino Moratti, inquadrata più volte dalla televisione insieme a tutta la dirigenza, a sorridere sotto una coperta, riparandosi i piedi dal freddo con dei Moonboot. Ma quello fu solo il preludio della serata che poteva essere e non fu.

Quarti di finale, affrontiamo il Manchester. Quello che poi avrebbe spazzato via la Juve e vinto la Coppa nei due minuti finali più folli del calcio contro il Bayern Monaco. All’andata non c’è storia. Ci stordiscono. Giggs e Beckham crossano, York e Cole realizzano. È uno schema facile, fin troppo scontato. Illusorio per chi vuole imitarli. Altro che falso nueve, sono i Calypso Boys. Ma al ritorno, a San Siro, si gioca un’altra partita. Che riassumerei in un fotogramma, un rimpianto, o forse l’illusione di chi vuole provare a dare un senso ad una stagione balorda. Ci è stato negato un rigore incredibile per un fallo di Schmeichel su Zamorano, Zanetti ha colpito un palo con un tiro che ricorda quello della finale di Coppa Uefa contro la Lazio, il Manchester è completamente alle corde e Lucescu sembra vedere la sua Inter. O forse i giocatori non si accorgono nemmeno di chi c’è in panchina, semplicemente non gli interessa. Baggio e Ronaldo sono belli da vedere, ma Ronnie non ne ha più e al suo posto entra Ventola che, pescato da Cauet, segna un gol importantissimo. Poi, eccolo il fotogramma. Lo sliding doors dell’Inter, di Lucescu e certamente del ciclo del Manchester. Ze Elias, il brasiliano giusto nel posto sbagliato, si ritrova sui piedi il pallone del due a zero. Il portiere è già a terra, è un lob facile, ma sceglie di piazzarla sul palo opposto. Troppo. Il pallone va fuori, lui a terra, con la testa tra le mani. Lucescu resta impassibile. Resterà impassibile anche cinque minuti più tardi, quando Scholes segnerà un pareggio ingiusto.

In bocca a lupo per la tua nuova avventura da CT della Turchia, Mircea Lucescu. E ricordati che anche in una annata balorda possono esserci serate indimenticabili. Almeno qui da noi.

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